Seduto su una cadrega con alle spalle il più trionfante orgoglio della città meneghina, un importante sindaco si fa immortalare per la copertina di una patinata pubblicazione che ha copertura nazionale. In alto, dietro la sua rassicurante figura, un sorridente bambino bianco cerca di intercettare con curiosità e ammirazione lo sguardo dell’importante sindaco. In basso, quasi ai suoi piedi, un’altrettanto sorridente bambina mulatta dai ricci capelli scuri gli abbraccia le caviglie guardando dritto nella lente del fotografo. La fotografia descritta sopra non è altro che la perfetta sintesi dell’ormai noto “modello Milano” firmato Beppe Sala e che non ha bisogno di molte presentazioni, perché è da tempo ormai che è diventato un vero brand da esportazione.

L’espressione accogliente del sindaco, i bambini attorno, la grandeur del Dom de Milan che fa da sfondo insieme al testo «Città aperta», sono tutti pezzi di un puzzle che insieme creano una cover lucente che ha un compito preciso:  veicolare il messaggio che nella capitale lombarda tutto è possibile. Una storia di successo raccontata da Stefano Accorsi e resa fruibile visivamente dalle foto di Paolo Di Paolo. Una storia di successo raccontata da professionisti di
successo con protagonisti di successo. Su una pubblicazione di successo, “Style&Milano”, emanazione del Corriere, che, si sa, ha come target il maschio alfa dei nostri tempi: il rampante imprenditore digitale, il profilo rispolverato del cumenda 3.0.

La Milano da bere è stata sostituita dalla Milano delle start-up, trasformandosi in un autentico laboratorio di innovazione. Ed effettivamente l’obiettivo della narrazione, ahinoi, è stato probabilmente centrato in pieno. Una strategia di comunicazione vincente, specie quando il racconto finisce con una promessa intrigante che parla di una “intuizione [del sindaco] di raccontare la città anche attraverso il cinema e le serie tv”, parole di Accorsi. Un sindaco stiloso, open-minded, che guarda al futuro ed è sempre pronto al dialogo. Un sindaco che sprizza ironia da tutti i pori. Beppe è uno di noi, su questo non c’è ombra di dubbio. È uno di noi perché a Natale «si presta» a fare le gag con il noto Milanese Imbruttito, vero fenomeno di entertainment che arriva a tutti e garantisce un ritorno
d’immagine più che positivo.

È uno di noi perché in occasione del Fuori Salone, tradizione consolidata e appuntamento imperdibile nella città della Madunina, sceglie di venire in periferia per tagliare il nastro inaugurale. A Quarto Oggiaro, peraltro, e per la prima volta: un forte segnale da parte di un amministratore che con la sua presenza lì accende una luce su un quartiere emblematico diventato negli anni sinonimo di malavita e criminalità e che oggi ha invece il volto di una delle periferie più promettenti e interessanti. È uno di noi perché, non appena un ragazzo di Gratosoglio, altra periferia a sud di Milano, vince il Festival di Sanremo, Beppe lo chiama per congratularsi di persona e ci organizza un incontro, naturalmente pubblico, per capire da lui le necessità dei giovani e la sua visione della città.

“È buffo come la comunicazione nei tempi moderni distorca così spesso la realtà”. Queste sue parole, estrapolate da un post in cui parlava della vicenda dello Stadio San Siro, raccontano la triste verità del momento storico che viviamo. Anche perché è vero, c’è qualcosa di profondamente distorto nella comunicazione mainstream che ci piomba addosso quotidianamente e grazie alla quale si fa sempre più fatica a discernere la fuffa dalla sostanza della realtà circostante.

C’è qualcosa di profondamente distorto quando il sindaco di Milano rivendica la milanesità di Alessandro Mahmoud, il cantante originario di Gratosoglio – anzi no, ancor più importante, di madre sarda e soprattutto padre egiziano -, non appena quest’ultimo si aggiudica il celebre leone rampante di Sanremo. C’è qualcosa di profondamente distorto in quella foto che ritrae il sindaco di Milano in mezzo a una lunga fila di soli uomini durante l’inaugurazione dello sfavillante Salone del Mobile a tagliare il nastro inaugurale. C’è qualcosa di profondamente distorto nella cover patinata che lo ritrae con una bambina mulatta che gli cinge le ginocchia e con affianco una scritta che dice: “Città aperta. Tollerante ma attenta alle regole”.

C’è qualcosa che in quell’inquadratura non quadra. Pecca di troppo paternalismo quell’immagine ed è interessante come il fior fiore di menti creative ingaggiate per la sua realizzazione non abbiano minimamente valutato le altre possibili implicazioni di una foto come quella. Il contenuto dell’intervista poi, per andare oltre l’apparenza, è un palese “spottone” in perfetta tinta con le foto che lo accompagnano. Non aggiunge quindi niente di nuovo all’attuale storytelling della città.

Perché forse, a pensarci bene, il vero punto di svolta del tanto chiacchierato “modello Milano” si verificherà solo quando anche i “diversi” saranno rappresentati come parte attiva, o quantomeno come figure di spicco, alla stessa altezza, anche fisica se vogliamo, dei soliti protagonisti all’interno dell’organigramma della città, e non solo come contorno che serve a far venire bene nella foto questi ultimi.

Ma questo traguardo è ancora troppo lontano anche per una città come Milano. E se bisogna dare atto che un personaggio forte, come l’attuale sindaco Sala, avrebbe tante carte da giocarsi per fare un salto di qualità in questo senso, è certo che i tempi non sono ancora maturi per toccare con mano un vero modello da imitare. Perché se si fa un giro in periferia, ad esempio, specie a riflettori spenti, i discorsi sono ben diversi da quelli che si trovano sulle riviste patinate, e i risultati delle ultime elezioni politiche ne sono la prova tangibile. E come si dice da queste parti: “Milan può far, può dir, ma non può far dell’acqua vin”.

Alina Nastasa -ilmegafono.org