Lidia Menapace, la staffetta partigiana, se n’è andata. Anche lei vittima del Covid, di un virus spietato che ha marchiato duramente questo tragico 2020. Quando muore una partigiana o un partigiano, alla tristezza si aggiunge sempre un senso di scoramento. Ed è uno scoramento diverso da quello che si prova solitamente dinnanzi alla morte. Perché quando muore una figlia o un figlio della Resistenza la sensazione peggiore, quella più forte, non è solo di aver perso un pezzo del nostro passato, della nostra storia migliore, quella che ci ha portato alla democrazia, salvandoci dall’orrore. La sensazione più dolorosa riguarda intimamente e principalmente il nostro futuro. Ci sentiamo più soli, perché la grandezza di certe vite, la generosità che hanno offerto al Paese, combattendo anche e soprattutto per chi come noi sarebbe arrivato dopo, è qualcosa che ti accompagna e ti rassicura.

Nei momenti più bui e duri della nostra storia repubblicana, i partigiani e il loro esempio sono stati un faro, sono stati coloro ai quali affidare la speranza di farcela, ancora una volta. La presidenza della Repubblica di Sandro Pertini è ancora oggi la più rimpianta proprio perché era rassicurante, era la guida sicura che ci avrebbe garantito di poter uscire da qualsiasi situazione di difficoltà. I partigiani sono i padri e le madri di questa nazione, sono la sua coscienza civile originaria e, dunque, sono da sempre un punto di riferimento, la saggezza e la forza sulle quali fare affidamento. Lidia Menapace se n’è andata, come se ne sono andati molti altri figli della Resistenza. Per giorni abbiamo sperato che vincesse la sua battaglia contro il Covid, da molte parti sono giunti messaggi di incoraggiamento, preghiere laiche. Purtroppo non ce l’ha fatta. E le reazioni alla notizia sono quelle di sempre, hanno il sapore velato dello smarrimento.

Perdiamo un pezzo di memoria che non vuol dire solo passato, ma soprattutto esercizio di futuro. E qui entriamo in gioco noi, che davanti ai partigiani che pian piano, per una ragione naturale legata al tempo che passa, se ne vanno via, ci sentiamo così persi. È un po’ come quando si cresce, si esce di casa e bisogna iniziare a cavarsela da soli. Toccherà a noi adesso portare avanti quei valori che i partigiani ci hanno consegnato. Un giorno non avremo più la voce viva dei testimoni a indicarci la via, a ricordarci il prezzo altissimo di quella libertà conquistata non solo militarmente, ma culturalmente, civilmente, moralmente. Avremo solo la nostra forza e i principi immortalati dentro una Costituzione da difendere. Una Costituzione che a qualcuno oggi dà fastidio. Purtroppo non solo agli eredi degli sconfitti, ma anche a quelli che alla Costituzione dovrebbero un sacro rispetto.

Ecco perché dobbiamo essere svegli, andare rapidamente oltre il dolore, salutare con una lacrima, un sorriso e un fiore i partigiani e le partigiane che se ne vanno, ringraziando per tutto quello che hanno fatto, per gli insegnamenti che hanno impartito a questo Paese, che però, in parte, ha smesso di imparare. La memoria è ormai da tempo sotto attacco, lo sono i suoi simboli, i suoi valori. Questo Paese, purtroppo, ha ancora un sangue fascista e conservatore che scorre nelle sue vene. Per questa ragione non bisogna abbassare la guardia. Per questa ragione bisogna assumersi le proprie responsabilità e non chiedere ai partigiani superstiti di farlo al posto nostro. Loro hanno già fatto tutto quello che potevano. Ci hanno indicato la direzione, hanno condiviso con noi, attraverso la loro instancabile e lunga azione, un patrimonio inestimabile.

Ora siamo noi a dover fare da riferimento, siamo noi a dover raccontare ai giovani la grandezza della storia di Resistenza, la generosità, il coraggio civile di donne e uomini comuni, di cittadini che hanno scelto di mettere le proprie vite al servizio del futuro. Quel futuro che eravamo noi e che oggi è il presente. Un presente sempre più povero di testimoni, ma ricchissimo di testimonianze. Da applicare laddove si nascondono derive fasciste e autoritarie, ignoranza antidemocratica, negoziazioni delittuose o perverse logiche compromissorie. La libertà è una strada da percorrere ogni giorno, perché è continuamente piena di ostacoli, più o meno ardui da superare. Stiamo vivendo il tempo della negazione, negazione di diritti, ma anche di verità assodate. Siamo dentro un’epoca smemorata pronta a rimettere in discussione tutto. L’epoca che smantella l’istruzione e spinge al disimpegno o al rifiuto della verità, per costruire nuove sudditanze.

Tocca a noi percorrere la strada della libertà e riempire questa epoca con tutti quei valori che Lidia Menapace e le partigiane e i partigiani ci hanno consegnato. Lasciamo una lacrima, un sorriso, la nostra dolce gratitudine e un fiore davanti a chi se ne va, ma un’ora dopo rimbocchiamoci le maniche per tenere in vita ciò che ci è stato donato e che resta. Deve restare.

Ora che segni di fascismo riaffiorano, ho paura, che non è un sentimento che mi assomiglia molto.

Ho paura perché la democrazia che abbiamo costruito pare essere rimasta fragile, che possa sgretolarsi.

Una democrazia fragile e anche noiosa”. (Lidia Menapace)

Massimiliano Perna -ilmegafono.org