“Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani…L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera… Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente…Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo” (Antonio Gramsci)

È solo un piccolo estratto dello straordinario pensiero di Antonio Gramsci, che obbliga ciascuno di noi a un inevitabile dialogo con se stesso. Quella “fatalità che sembra travolgere tutto e tutti”, quando “la massa degli uomini abdica alla sua volontà”, oggi è davanti a noi e ci sfida a trovare una risposta. Non è facile trovare quella risposta ma è necessario provarci. La più facile, certo, è quella che trova tanti consensi e che si allinea dove la fila è più grossa, dove le voci contrarie sembrano una minoranza. Difficile, invece, scegliere di far parte di quella che sembra essere una minoranza. Le minoranze spesso si dividono in tanti frammenti dove si accavallano differenze e pensieri, e dove un’idea comune fatica a prendere corpo e diventare forza trainante. Ma è proprio in questi frammenti che il valore di un’idea si sviluppa e cerca faticosamente una strada.

Allinearsi nelle file delle maggioranze spesso significa incontrare, strana coincidenza, proprio quella massa di uomini che “abdica alla sua volontà e poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva”. Quelle poche mani, oggi come sempre, hanno una voce grossa e forte: governano le istituzioni e l’informazione, il potere politico ed economico. Sono le stesse mani che mettono la propria firma sul registro della storia, quella stessa storia che oggi è “un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti”. Quel terremoto non è nato il 24 febbraio del 2022 con la guerra in Ucraina e non è nato con la scelta della Russia di invadere quella terra. Quel terremoto scuote l’umanità da tanto tempo, così tanto che in molti ci avevano quasi fatto l’abitudine perché erano scosse che quei molti consideravano lontane, e avevano deciso che non riguardavano loro stessi, ma altri popoli e altre terre. L’indifferenza, appunto.

Oggi queste scosse fanno sentire il brivido freddo della paura a tutti, e bisogna trovare una risposta. Qualcuno, la maggioranza appunto, ritiene che la risposta più ovvia sia la corsa alle armi: costruirle e venderle, armare sé stessi e gli altri. Nessuna sorpresa, è la scelta preferita da sempre, in Europa e nel mondo. Quale possa essere il punto di arrivo di questa scelta è fin troppo facile da capire, il Novecento lo ha spiegato fin troppo chiaramente. Negli anni che precedettero la Prima guerra mondiale l’Italia si divideva sulla scelta di intervenire o meno. E oggi? Oggi piovono le accuse e gli insulti su quella parte di persone, da molti ritenuta la minoranza, che si oppone alle armi e al riarmo. Arrivano da tutte le parti queste accuse e le più pesanti, gli insulti appunto, arrivano principalmente da giornali che si definiscono liberi e da firme che, un tempo non molto lontano, scrivevano cose diverse sui rumori di guerre lontane. Nel mirino e nel tritacarne oggi ci sono l’ANPI e i movimenti.

Qualcuno, come Paolo Flores d’Arcais su MicroMega, accusa l’ANPI di oscenità, e di infangare i valori della Resistenza. Altre firme, sui loro giornali, da “Repubblica” al “Corriere” a “La Stampa”, parlano addirittura di “negazionismo”, e la volgarità di questa accusa è talmente grande da non meritare nemmeno una risposta se non fosse che, a lanciarla, sono persone che nel corso della loro storia e della loro carriera giornalistica non hanno mai visto una guerra sul posto ma solo da una comoda scrivania. Eppure, parlano di guerra e di Resistenza come se fosse il loro pane quotidiano. Penso che non conoscano nemmeno l’ANPI, che non siano mai entrati in una sua sezione. Perché basterebbe poco per sapere e conoscere quali e quante storie di vita e di Resistenza abbiano attraversato e ancora attraversano l’ANPI. In ordine di tempo, sarebbe loro bastato aver presenziato all’ultimo congresso nazionale o ai congressi provinciali che lo hanno preceduto. Avrebbero visto e capito le tensioni, il livello delle discussioni e il valore umano che si respirava. Evidentemente, però, è più semplice e più comodo lanciare accuse a prescindere contro chi si oppone ad una linea tracciata.

Più semplice e più comodo, anche, fingere di ignorare le parole di Gianfranco Pagliarulo all’ultimo Congresso nazionale dell’ANPI: “La condanna dell’invasione è irrevocabile, ma dobbiamo cercare di capire il contesto e le cause che hanno prodotto la situazione attuale. Capire il contesto serve non per giustificare ipocritamente l’intervento russo, ma per porre all’ordine del giorno questioni capitali: nuovo ordine mondiale, sistema di difesa collettiva, cooperazione, coesistenza pacifica. Sbaglia chi guarda l’albero ma non vede la foresta, quando si paragona tutto ciò al rifornimento di armamenti ai partigiani dalle potenze alleate, si dimentica che le potenze alleate erano in guerra contro i Paesi del Patto d’Acciaio. Cioè c’era già la guerra, la Seconda guerra mondiale. Oggi non c’è, e questa scelta, proprio in base a quel paragone, potrebbe contribuire a far perdere qualsiasi controllo della situazione scivolando verso lo scenario peggiore, senza dimenticarci mai l’ospite inquietante del tempo che viviamo: il nucleare”.

Sì, non è facile scegliere di essere una minoranza: gridare che l’Articolo 11 della Costituzione è stato violato nella sua sostanza più vera, affermare che il terremoto in corso si può provare a fermarlo solo con una politica diversa e con la ricerca della diplomazia che non possono essere lasciate nelle mani di uomini come Erdogan. Accusare di negazionismo l’ANPI, Emergency e i movimenti pacifisti, tacciarli di essere contro l’Ucraina e amici di Putin aiuta forse a vendere qualche copia in più dei propri giornali, ma contribuisce ad alimentare una spirale pericolosa e irresponsabile, che fomenta un clima di odio che distorce la realtà. Non sorprende che questi giudici non abbiano il coraggio di scrivere un solo articolo, una sola parola sugli amici di ieri di Putin: le destre fasciste e nazionaliste in Italia e in Europa, in America.

Questa guerra è una ferita per tutti, come lo sono tutte le guerre di cui, oggi come ieri, non si parla. Fra pochi giorni sarà il 25 Aprile, e sono in molti a lavorare perché quel giorno diventi un giorno di tensioni e forse di scontro. Allora sorge un dubbio: a chi giova tutto il veleno che viene gettato sull’ANPI? Puntare il dito contro chi considera le politiche di guerra come il più irrimediabile degli errori, è un segnale gravissimo. L’ANPI, e la storia della Resistenza da cui è nata la Repubblica, non meritano tutto questo.

Maurizio Anelli -ilmegafono.org