Essere donne, oggi, vuol dire essere necessariamente madri. Essere donne vuol dire garantire sopravvivenza alla specie, ripopolare la patria, mettere al mondo figli. Essere donne, nell’era di Giorgia Meloni e del suo governo conservatore, è una missione molto difficile, oltre che un compito assai gravoso e intriso di pressioni sociali. L’ultima perla della nostra presidente (userò sempre e comunque il femminile, voglio rispettare il genere d’appartenenza, prendendomi qualche licenza contro il sistema) suona come manifesto programmatico dell’idea che il governo ha dell’universo femminile: “Le donne che hanno messo al mondo due figli hanno già dato un contributo alla società”. E le altre? Se già in precedenza l’esecutivo ha dato chiari segnali sulla direzione ideologica nell’ambito delle famiglie, appare chiara la funzione da attribuire alle donne: più figli, più agevolazioni, come è emerso dall’ultima Manovra approvata.

Continua la distinzione tra “loro” e “gli altri”, ci perdoni Marracash, tra chi rientra nello schema tradizionale e chi invece, per le più disparate ragioni, conduce un tipo di vita non conforme ai canoni scelti dal governo. Sei ai margini se sei un uomo, ma se sei una donna, poi, diventi anche inutile. Tutto parte dalle dichiarazioni rilasciate in conferenza stampa a margine dell’approvazione della Legge di Bilancio. Al suo interno, una serie di norme agevolative per le donne con figli, asili gratis e meno contributi da versare. Queste le parole di Giorgia Meloni che hanno acceso il dibattito: “Una donna che mette al mondo almeno due figli, in una realtà in cui abbiamo disperato bisogno di invertire i dati sulla demografia, ha già offerto un importante contributo alla società”. Per la serie, il vostro compito lo avete svolto, ora ci pensiamo noi. Mettere al mondo dei figli diventa così missione salvifica e compito prescritto, non una scelta, un progetto di vita, una gioia o un desiderio. Mettere al mondo figli rientra dunque nell’ideale di donna disegnato dal governo, escludendo le altre possibilità.

Le donne che non hanno figli contribuiscono forse meno allo sviluppo della società? Il loro lavoro vale meno rispetto al sacrificio per la patria fatto dalle mamme lavoratrici? Su queste ultime, ricordiamolo, ricade anche il peso di tutto il lavoro di cura da sbrigare tra le quattro mura, nell’ottica patriarcale in cui si cullano certe logiche. Avere figli è un diritto sacrosanto, ma anche non averne lo è. I fondi per gli asili nido sono necessari, ma anche le agevolazioni per chi un nucleo familiare, per le svariate ragioni di cui sopra, non può o non vuole costruirlo, oppure vuole farlo con i suoi tempi e le sue modalità.

L’esecutivo appare totalmente scollato dal paese reale, incanalato in una sola realtà che non tiene conto delle evoluzioni della società, che si colora di uno e più sistemi di famiglia. È giusto agevolare i contributi per le famiglie con bambini, o con ragazzi che vanno a scuola o all’università, ma questo non può tenere fuori i nuclei senza figli, oppure i single che vivono da soli e versano ugualmente i loro contributi. Il risultato è una disparità sociale che premia solo determinate scelte, in una corsa alla realizzazione degli obiettivi in cui ancora una volta, se sei una donna, devi correre più veloce e sforzarti il doppio. Del resto, un solo figlio, a quanto pare, non basta.

Vorrei lasciare una piccola riflessione in conclusione. Vorrei riflettere sul senso del contributo dato alla società. Mi vengono in mente donne come Rita Levi Montalcini, Alda Merini, Oriana Fallaci, Margherita Hack, Anna Magnani, Nilde Iotti (citata anche dalla stessa premier Meloni nel suo discorso d’insediamento), Maria Montessori, Ada D’Adamo, Sara Simeoni, Irma Testa. Qualcuno oserebbe dire che queste donne, dalle idee condivisibili o meno, non abbiano dato un contributo alla società, pur con un solo o senza alcun figlio?

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