“Gianfranco Miglio ci sta vedendo adesso realizzare i frutti di una vita di studi, di lavoro, impegno e sacrificio”. Così un verdissimo Salvini, dal luogo dove circa nove secoli orsono – secondo leggenda nordica – alcune città del Nord diedero vita alla Lega Lombarda, ha riempito gli occhi di migliaia di fedeli accorsi per vedere il loro ministro dell’Interno, già premier nel cuore di molti oltre che nei cartelli, nelle barbe, nei sorrisi, financo forse nelle corna posticce. Salvini sta quasi realizzando il sogno dei leghisti, con tanto di rilancio di una sorta di superlega europea, una cinematografica “Lega delle Leghe” che al solo pensiero ha mandato in visibilio i più.

In questo tripudio nordico, il segretario/ministro ha omaggiato il passato citando – come detto – la storia della Lega, ossia Gianfranco Miglio. C’è un problema, però, che risulta doveroso affrontare, ed è un problema che risiede proprio nel concetto di “passato”. Bisognerebbe chiedere, al segretario del più storico degli attuali partiti italiani, come ci si debba comportare – noi amministrati dall’arringafolle – con la memoria. Se resettarla, cioè, o modificarla, tagliarla, cucirla, bollirla, friggerla, usarla come suola da scarpe. Perché non è che sia facile digerire uno che la usa come gli pare sbattendocela in faccia ai raduni e poi nascondendola quando diventa un problema. Perché Gianfranco Miglio rappresenta il paradosso estremo di Matteo Salvini. Per essere chiari: citare Miglio e avere come ospite sul palco Nello Musumeci è un ossimoro che manco Kundera ne “L’insostenibile leggerezza”.

Miglio può essere considerato il padre politico della Lega, padre che poi ripudiò il partito generato considerandolo rammollito e preferendogli un più estremo “Partito Federalista”. A Miglio l’Italia unita pareva una follia ingovernabile, al punto da arrivare ad auspicare per il Sud un governo considerato rispettabile (la mafia depurata in “clientelismo buono”) infilandolo in una ipotetica costituzione ad hoc: “Il Sud deve darsi uno statuto poggiante sulla personalità del comando. Che cos’è la mafia? Potere personale, spinto fino al delitto. Io non voglio ridurre il Meridione al modello europeo, sarebbe un’assurdità. C’è anche un clientelismo buono che determina crescita economica. Insomma, bisogna partire dal concetto che alcune manifestazioni tipiche del Sud hanno bisogno di essere costituzionalizzate”.

Insomma: a Miglio la Lega senza “Nord” avrebbe fatto venire l’orticaria. Figurarsi la Lega delle Leghe, lui che vedeva gli Stati moderni soppiantati da comunità neofederali. Ecco perché di “evoluzione” non c’è nulla nella visione politica di Salvini, che parla degli insulti ai meridionali come se appartenessero al passato di un adolescente: dividi et impera è e resterà sempre il marchio del suo operare, e il pensiero fondante di Miglio in fondo scorre nelle sue vene, al di là della Sicilia e dell’Africa. È una lucida incoerenza la sua, ed è solo e soltanto sua.

Il segretario leghista a Pontida ha tirato fuori il vecchio politologo quasi fosse una figura eterea, annacquandola nel mito del giuramento contro il Sacro Romano Impero del Barbarossa ed esponendola al pubblico applauso. E tutti lì a osannarlo i suoi, con una visibile parte di elettori provenienti del centro-sud (qualcuno con tanto di stand sul suolo pontidese), gli stessi elettori che all’etereo Miglio avrebbero fatto venire in mente quell’assurdo “clientelismo buono”. La Lega veleggia, oggi, verso percentuali sempre più alte di voti, guardando all’Europa e usando un efficace “mammaliturchi” come concime per le urne, e c’è da chiederci se ce la meritiamo, noi tutti, mentre Salvini sciorina verità tutte sue che non appartengono alla storia.

Perché è abbastanza evidente che l’apertura al Sud ha lo stesso scopo della chiusura dei porti: cambiando l’ordine dei respinti, il risultato non cambia. Prima a puzzare erano i napoletani, oggi i napoletani vanno a Pontida. Come i catanesi, i foggiani. E la puzza viene dall’Africa. È una sistematica cancellazione e rivisitazione della memoria, con la promessa di un trattamento privilegiato rispetto a chi pretenderebbe di invaderci o di fregarci con oscure manovre bancarie orchestrate da gruppi segreti e potentissimi.

Il ministro dell’Interno, forte di una base di fatto appiattita su posizioni rigide e su una pesante assenza di autocritica, auspica un trentennio di vittorie leghiste, dipingendo un futuro europeo per i suoi. Ma se c’è una cosa che la storia non smette di insegnare è il valore della memoria, che fagocita anche i più grandi movimenti. Perché il tempo è galantuomo, e non ha coordinate spaziali sulle quali costruire castelli di carte.

Sebastiano Ambra -ilmegafono.org