Non ho mai conosciuto Giulio Regeni. Non ho mai letto nulla di quello che ha scritto. Non abbiamo condiviso nulla, molto probabilmente neanche un viaggio da sconosciuti su un aereo o su un treno. Perché allora parlarne? Quale diritto possiamo arrogarci di commentare la sua tragica fine? In fondo nessuno o forse uno molto spicciolo: quello di interrogarci sul perché un mio coetaneo avesse scelto di andare in Egitto e raccontarlo. La spinta viene da un atteggiamento tanto sano quanto raro. Vedere prima di parlare. Capire prima di commentare. Toccare prima di riportare. La categoria di estensori e commentatori dovrebbe avere il coraggio di ringraziarlo per aver scelto a proprio rischio (come scriveva) di raccontare e scrivere.

Diceva bene Guccini: “Non so che viso avesse neppure come si chiamava, con che voce parlasse con quale voce poi cantava […] Gli eroi son tutti giovani e belli”. Il termine non é fuori luogo per una generazione catatonica. Giulio è stato un eroe nel suo essere esempio, sicuramente senza volerlo. Per la curiosità, la sensibilità e l’intelligenza con cui è stato nel mondo. Così come lo sono stati Enzo Baldoni, oppure Stefano Rolla, regista caduto nell’attentato di Nassirya, o Antonio Russo, ucciso in Georgia nel 2000, solo per citare alcuni italiani che ti fanno avere di nuovo fiducia in questo Paese. Soprattutto perché a lungo poco considerati o perfino sconosciuti e, dopo la tragedia, dimenticati. Vorremmo che esempi come questi, in futuro, fossero ascoltati prima della fine. Raccontati e ascoltati prima di esser pianti.

Sono troppo italiano per aver fiducia nella giustizia egiziana o nell’influenza che il nostro governo può avere nello scoprire chi abbia tolto la vita a Giulio. In fondo, hanno abbattuto un aereo sui nostri cieli e abbiamo appurato dopo più di trent’anni che è stato un missile. Certo, non potranno dare la colpa al solito uomo nero che tornerebbe sempre comodo in questi casi e il dubbio ci resterà sempre. Giulio aveva paura, forse aveva ricevuto minacce? Da chi? Si occupava dei sindacati egiziani e non di jihadismo, cosa aveva scoperto? Cosa voleva raccontare? Perché era scomodo? Il NYT scrive che la fine da macelleria messicana del povero Giulio pare il sistema classico adottato dai servizi egiziani.

Proprio questo, e un po’ di storia, fanno pensare una volta di più che non vincerà la verità, da sempre rivoluzionaria, ma la menzogna al servizio di interessi sovranazionali. Certo, il nostro governo ha al momento molta pressione addosso, ma una volta che sarà passato del tempo sono proprio curioso di vedere se la tanto acclamata verità arriverà. Chissà se avranno il coraggio di accettare un capro espiatorio o una spiegazione sommaria.

Di sicuro, da cittadini, vorremmo soltanto che il nostro Paese non celebrasse sempre e soltanto chi difende la propria patria sull’onda dell’emotività, ma anche chi si impegna in nome di ideali non meno importanti e più vasti e umanitari. A noi, come società civile, come genitori, figli e umani, spetta il compito di non dimenticare Giulio, Enzo, Antonio, Stefano, Ilaria e gli altri che sono stati uccisi mentre facevano un lavoro di utilità pubblica e si impegnavano volontariamente per il bene dell’umanità.

Penna Bianca -ilmegafono.org