Il 5 agosto 1989, in un afoso pomeriggio siciliano, a Villagrazia di Carini, in provincia di Palermo, morirono, in seguito ad un agguato mafioso, il poliziotto Antonino Agostino e la moglie Ida Castelluccio. I due giovani, neo sposi, si erano recati in quella località per festeggiare insieme alla famiglia un’occasione speciale e per comunicare il prossimo arrivo di una nuova vita. Ida, infatti, era incinta. Quella giornata di festa fu però trasformata dalle violenti mani mafiose in un’orrenda tragedia. Nino e Ida, a pochi passi dall’abitazione dei loro parenti, furono raggiunti da una moto con a bordo due sicari che trivellarono i loro corpi. Il giovane marito cercò di fare scudo con il proprio corpo alla moglie e al figlio nel suo grembo, morendo all’istante, lei, invece, perse la vita poco dopo il ricovero in ospedale. Secondo i racconti di chi assistette all’agguato, Ida riconobbe i propri assassini.

Quella tragedia ha catapultato nel dolore l’intera famiglia dei due giovani, tanto che il padre di Nino, Vincenzo, decise, per protesta e per dare voce al proprio cordoglio ma anche alla propria rabbia e al proprio desiderio di giustizia, di non tagliare più la propria barba finché gli assassini dei suoi cari non fossero stati assicurati alla giustizia. Sono trascorsi 32 anni e la lunga barba bianca sul volto di Vincenzo Agostino ci ricorda che la giustizia e la verità hanno avuto (e purtroppo ancora hanno) un passo lento, decisamente troppo lento, nelle indagini riguardanti questa terribile vicenda. Indagini complesse ed ostacolate dalla reticenza delle persone informate sui fatti a collaborare con gli inquirenti nella ricerca della verità. Per esempio, si è cercato di celare alla magistratura il reale incarico professionale di Nino Agostino che, formalmente assegnato alle volanti, faceva invece parte di “servizi segreti” assegnati alla cattura dei grandi latitanti di mafia.

Nel corso degli anni si è poi appreso che Nino, quando si accorse che una sua importante informazione sulla latitanza di Riina era rimasta incredibilmente inascoltata, comprese le reali finalità di tale struttura (che sembrerebbe in realtà intrattenesse rapporti con i boss), scegliendo di non farne più parte. Secondo gli inquirenti, probabilmente fu proprio questa decisione a costargli la vita. Ulteriore ostacolo ad un celere e semplice svolgimento delle indagini sembrerebbe essere stata la distruzione di alcuni importanti documenti che il giovane poliziotto aveva in casa e la cui esistenza per anni è stata abilmente nascosta alla magistratura. Solo un complesso e macchinoso lavoro di ricostruzione basato su intercettazioni ambientali, collaborazione con altre procure e testimonianze di svariati collaboratori di giustizia, ha permesso di delineare, parzialmente, le circostanze che hanno ricondotto a quel terribile duplice omicidio. Individuando in Gaetano Scotto e Antonino Madonia gli esecutori materiali del delitto e ricostruendo un movente “ambientato nel torbido terreno di rapporti opachi tra componenti elitarie di cosa nostra ed alcuni esponenti infedeli delle istituzioni”.

Si è giunti cosi, lo scorso 19 marzo, alla condanna all’ergastolo per il boss Antonio Madonia (che aveva optato per il rito abbreviato), ritenuto uno dei mandanti, e al rinvio a giudizio per Gaetano Scotto (che ha scelto di avvalersi del rito ordinario), ritenuto uno degli esecutori del delitto. Ala lettura di questa prima, importantissima, sentenza di condanna era presente Vincenzo Agostino, il quale ha lasciato l’aula bunker facendo, con le mani, il segno della vittoria. “Oggi – ha dichiarato soddisfatto – è un giorno di grande gioia per me, mi dispiace solo che non ci sia mia moglie con me”. “Questa sentenza – ha aggiunto il coraggioso padre che per anni ha lottato per far conoscere la verità – è solo un inizio di verità, perché le stragi di Palermo sono partite dall’omicidio di mio figlio”.

“Non taglierò la barb a- ha aggiunto Vincenzo visibilmente commosso – voglio aspettare la fine del processo nei confronti di Scotto, l’uomo chiave dei rapporti fra la mafia e pezzi deviati delle istituzioni. La verità sulla morte di Nino e Ida è ancora chiusa in qualche palazzo delle istituzioni”. “Ci sono tre persone ancora in vita che possono parlare – ha concluso -, hanno un potere in Italia, comandano, mi auguro che emergano. Non posso fare nomi, ma sono tre che ricoprono un ruolo istituzionale importantissimo. Loro possono sapere quello che ha lasciato scritto mio figlio, perché hanno letto la lettera che era nell’armadio”. Dichiarazioni molto importanti di denuncia e speranza; una speranza che unisce Vincenzo a tutti gli italiani che vogliono conoscere la verità ed avere giustizia. E forse, chissà, in un futuro non troppo lontano vedremo il volto un po’ stanco ma finalmente soddisfatto di Vincenzo senza più quella folta barba ad incorniciarlo.

Anna Serrapelle -ilmegafono.org