In settimana il decreto sicurezza è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale ed avrà forza di legge in attesa che il parlamento né confermi la validità. Il provvedimento, cavallo di battaglia del governo giallo-verde, ma soprattutto della parte leghista dello schieramento di governo, è stato oggetto di dibattito, andando ad abbracciare tutta una serie di tematiche molto care al Carroccio. Se le polemiche in materia di immigrazione e sicurezza urbana hanno riempito le prime pagine e i talk show in tv, meno rilievo mediatico hanno avuto le disposizioni del decreto legge sulla gestione dei beni confiscati.

Leggendo il titolo terzo del dispositivo possiamo infatti notare come il funzionamento dell’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati alla criminalità organizzata (ANBSC) è stato rivisto da una serie di nuove norme, con luci ed ombre.

Il decreto, ad esempio, prevede l’assunzione di 70 nuove unità da collocare nelle sede nazionale di Roma e nelle 4 nuove sedi secondarie. Un ampliamento dell’organico che è stato accolto dalla maggioranza degli addetti ai lavori come una novità assolutamente positiva e necessaria. Più controversa è invece la questione del reperimento dei fondi che l’ANBSC dovrà utilizzare per tali assunzioni e per lo sviluppo di queste nuove sedi secondarie. Un altro comma del titolo III, infatti, prevede l’introduzione della vendita all’asta dei beni confiscati, ampliando la platea di potenziali acquirenti dei beni che verrebbero così in parte privatizzati.

Le critiche mosse a questa manovra sono di natura etica ed economica. Dal punto di vista etico, ampliare la gestione dei beni immobili al privato, aumenterà considerevolmente il rischio che i beni stessi possano rientrare, per vie traverse, nelle mani alle quali sono stati sottratti. La vendita tramite asta, inoltre, potrebbe causarne in molti casi una forte svalutazione. In più, c’è il problema che solo il 20% del ricavato andrà all’Agenzia Nazionale, mentre la restante parte verrà poi reinvestita in altri provvedimenti di diversa natura.

Già qualche settimana fa, ben prima che venisse approvato, Don Luigi Ciotti, presidente e fondatore di Libera, aveva nutrito diverse perplessità sul decreto sicurezza, ritenendo la scelta di vendere i beni confiscati “troppo rischiosa”. In più Don Ciotti aveva aggiunto un’ulteriore critica a quelle esposte finora, riferendosi alla norma che prevede il trasferimento dei beni immobili invenduti, che dopo 3 anni passeranno all’Agenzia del Demanio. Non è infatti specificato a quale utilizzo saranno destinati i suddetti beni, una lacuna ancora presente il 5 ottobre quando il decreto è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale.

Insomma, se dal punto di vista della propaganda, questa parte del decreto sicurezza può essere “venduta” dalle forze di governo come un aumento degli investimenti in materia di beni immobili sequestrati alla criminalità organizzata, di fatto tale investimento viene autofinanziato tramite la privatizzazione dei beni che, oltre a tagliare parte dei fondi rinvenuti dalla gestione degli immobili (e a destinare solo una piccola parte dei ricavi di vendita all’ANBCS), aumenta il rischio che questi ritornino nelle mani losche delle mafie.

Vincenzo Verde -ilmegafono.org