Spiccare il volo o cadere. La storia della GKN di Campi Bisenzio, Firenze, è all’epilogo. Dopo una lotta che dura da oltre due anni, i licenziamenti aspettano il primo gennaio 2024 per essere definitivi. Una lotta che ha visto tre governi diversi alternarsi alla guida del Paese, nessuno dei quali ha saputo o voluto trovare risposte a quel mondo operaio della piana fiorentina: li ha lasciati soli in una battaglia impari il cui finale era già scritto. GKN cesserà di esistere e di quella straordinaria stagione resteranno tante cose. Una su tutte ha il sapore amaro della ferita: la sconfitta di una battaglia civile dove si specchiano tutta l’ipocrisia e il fallimento di una società, di una classe dirigente e politica, di uno Stato incapace di raccogliere tutto il valore di quello che le donne e gli uomini della GKN hanno saputo offrire ad un Paese intero. Quell’assemblea permanente, quel collettivo di fabbrica, sono stati l’occasione più preziosa e pulita che questo Paese ha conosciuto in questi ultimi anni per provare a cambiare un’idea sbagliata di società.

La loro storia diventerà l’ennesimo rimpianto di un Paese incapace di guardare un orizzonte diverso dalla speculazione, politica e finanziaria, su tutto. Oltre due anni, quasi tre, spesi per un’intera comunità e per una battaglia collettiva che ha saputo andare oltre i muri di una fabbrica. Ma non saranno loro i veri sconfitti: loro quella fabbrica hanno provato a salvarla in tutti modi, l’hanno difesa e protetta, trasformandola in un progetto comune come si fa con una casa di famiglia dove si è cresciuti tutti insieme. Hanno scritto una pagina di storia in questa Italia malata e indifferente, una storia di operai, di fabbrica e fatica. Una storia di classe, una storia di altri tempi, quando il padrone aveva un nome e un cognome. I tempi cambiano e il padrone esiste ancora, è solo più difficile capire chi è. Si muove nella palude del tempo e trova sempre la sua strada, una strada che non lascia margini al giusto. Conta solo il profitto fine a se stesso…il resto è solo polvere di umanità lasciata sul sentiero.

Spiccare il volo o cadere: è il messaggio lanciato dal collettivo di fabbrica della GKN, un messaggio che tutti dovremmo ascoltare e fare nostro. Quanto è diventato freddo e cattivo questo Paese? Tanto. Serve coraggio per spiccare quel volo, significa credere in un’idea di vita che non può essere quella in cui il modello attuale di società ci ingabbia. Ma perché fare il primo passo? Perché non aspettare che quel passo lo facciano altri? È così facile e così comodo aspettare che sia qualcun altro a ribellarsi, ad esporsi in prima persona e pagare il prezzo che ogni ribellione comporta. Si accettano allora tante cose, anche uno Stato che non c’è da tanto, troppo tempo. Si accetta la guerra agli ultimi, convinti che gli ultimi alla fine saranno sempre altri. Si accetta una classe dirigente che, forte del voto e del consenso ricevuto, calpesta diritti e dignità. Si accetta un Parlamento svuotato di ogni concetto di “bene comune”, si accettano leggi e decreti speciali e umilianti. Si accetta la volgare arroganza del potere e delle istituzioni che avvelenano l’acqua di ogni pozzo.

È già successo in questo Paese ma a quanto pare lo abbiamo dimenticato e il fascino dell’uomo solo al comando cresce, prima a piccoli passi poi a falcate sempre più grandi. Ma si sta zitti, spiccare il volo è un compito che spetta ad altri, poi magari ci si accoda dopo aver visto come procede. Cos’altro aspettiamo per indignarci e insorgere? Italiani brava gente, però poi si muore solo perché si è donne. L’indignazione dura il tempo di un fiammifero acceso, si spegne presto. Allora succede che dopo la morte di Giulia, uccisa dall’uomo che non accetta la sua libera scelta, la sorella lancia un grido di rabbia e di dolore, un’accusa su cui tutti dovremmo fermarci e riflettere, e c’è subito qualcuno che punta il dito su di lei e su quel suo grido. A puntare il dito sono uomini delle istituzioni e gente comune. Una donna si uccide anche così, e colpendo la sorella Elena si uccide Giulia una seconda volta. Sono più di cento le donne uccise in meno di un anno, e la morte abita spesso dentro il guscio di casa e ha il volto delle persone che dicono di amarle. È una strada infinita quella che gli uomini devono camminare per essere degni di essere chiamati uomini, e quando le donne ce lo ricordano scappiamo o ci nascondiamo. Anche in quel caso non spicchiamo il volo, preferiamo cadere dentro noi stessi prima ancora che nel vuoto.

Italiani brava gente, però si muore sul lavoro, ancora. Nei cantieri, nelle fabbriche, stritolati dai macchinari e dai ritmi di lavoro. Si muore nei campi dove l’ultimo pomodoro da mettere nella cassetta è rosso di sangue. Ma si dimentica che quel sangue tante volte è il sangue di migranti che vivono nelle baracche come randagi di questo mondo, senza diritti ma con tanti padroni. Si muore nel mare Mediterraneo, Lampedusa o Cutro non fa differenza. Si muore da dimenticati per la sola colpa di aver cercato la vita lontano da una casa e da una terra da cui si è costretti a scappare.

Si muore nei CPR, perché il richiedente asilo è un rottame da isolare e abbandonare per strada, ma deve essere una strada isolata di periferia, lontana dalle luci della città, per non disturbare la brava gente che si specchia nel proprio torpore, e quando i CPR di casa non bastano si possono sempre costruire in altri Paesi amici. Si firmano accordi con i dittatori di Paesi dove il “diritto” non conta, si fanno affari in cambio del controllo sui migranti, una strada cara a tutti i governi che si sono alternati alla guida del “Bel Paese” in questi decenni. Polvere di umanità lasciata sul sentiero. Accade qui, nel nostro giardino di casa, ma non solo. Succede anche in giardini lontani, o che noi sentiamo lontani, ma in realtà così vicini nella freddezza e nella sporcizia del potere.

Il 19 novembre l’Argentina ha cancellato la sua memoria. Ma a chi interessa ancora la memoria, chi l’ascolta? Difficile capire la scelta di affidare la guida del Paese a chi nega la spaventosa realtà dei “desaparecidos” nella notte della dittatura militare, a chi si dice favorevole al commercio degli organi, a chi vuole dollarizzare l’economia perché il peso, la moneta nazionale argentina, “non è utile neanche come escremento”, a chi ha promesso di tagliare ogni spesa sociale. Javier Gerardo Milei, questo è il suo nome, sarà il prossimo comandante argentino, dopo una campagna elettorale vissuta brandendo una motosega nelle mani. Questa è la scelta dell’Argentina, per disperazione o per convinzione. Così, quel Paese uscito dalla dittatura dei suoi generali e da anni di peronismo, economicamente a pezzi ma che sembrava orgoglioso e coraggioso nonostante tutto, è diventato un altro Paese. Non stupisce allora che il primo a congratularsi per la sua elezione sia stato Jair Bolsonaro, il macellaio del Brasile durante la dittatura militare e anche dopo. Ma dopo quelli di Bolsonaro sono arrivati anche i complimenti dei razzisti nostrani, Matteo Salvini in prima fila.

C’è un’onda nera che attraversa il mondo. È arrivata anche in Olanda, come in altri Paesi del Nord Europa. Il comune denominatore è sempre l’odio verso i migranti, il grande nemico che l’Europa ha deciso di mettere al rogo. È arrivata anche in Irlanda e la notte di Dublino è stata un incendio devastante. Tutto è un incendio, bruciano l’Ucraina e la Russia, bruciano la Striscia di Gaza e la Terra di Palestina. Qualcuno, ancora oggi, parla della guerra fra Russia e Ucraina come della prima guerra in Europa dopo il 1945. È già dimenticata e rimossa la guerra nella ex-Jugoslavia. Eppure quella guerra è durata anni e ha lasciato ferite ancora aperte. L’incendio non si ferma, travalica confini e frontiere come se non ci fosse un domani. Eppure quel domani è nostro, lo dobbiamo pretendere.

“Andrà tutto bene. Ne usciremo migliori”. Era il 2020, e questa frase ci ha accompagnato come un mantra durante tutta la pandemia. Qualcuno ci ha creduto davvero, per paura o per farsi coraggio poco importa. Non è andata così. Allora bisognerebbe capire la lezione di storia che in questi anni le donne e gli uomini della GKN hanno saputo regalare ad un Paese anestetizzato. È una lezione di dignità e coraggio, costruita sull’idea che, quando le cose sembrano impossibili, significa che si devono fare, che si ha il diritto e il dovere di provarci. Un’utopia? Sì, probabilmente sì. Fabrizio De André diceva che “un uomo senza utopia, senza sogno, senza ideali, vale a dire senza passioni e senza slanci, sarebbe un mostruoso animale fatto semplicemente di istinto e di raziocinio, una specie di cinghiale laureato in matematica pura”. Spiccare il volo o cadere, appunto, come ci ha gridato l’umanità della GKN. Non sono loro gli sconfitti. 

Maurizio Anelli -ilmegafono.org