Tra le ardue sfide a cui dovrà far fronte il nuovo sistema internazionale, vi è sicuramente quella della sicurezza alimentare e dei fenomeni da essa derivanti quali il land grabbing. Il termine – letteralmente “accaparramento della terra” – evidenzia in modo efficace l’efferatezza di un fenomeno che ormai, da una decina d’anni a questa parte, va espandendosi nei cosiddetti paesi in via di sviluppo, raggiungendo picchi esponenziali. In particolare, Stati come Cina e India, interessati da questi stravolgimenti, unitamente ad Arabia Saudita, Qatar e Bahrein, risultano essere tra i maggiori acquirenti di territori dei paesi africani. A questa serie di elementi vi è da aggiungere l’annosa questione della finanziarizzazione dei prodotti agricoli, fattore trainante della crisi alimentare, che ha affinato l’abilità – per non dire l’incoscienza – dei traders di trasformare, per la prima volta nella storia, le merci in patrimoni finanziari.

Questo intreccio del capitale speculativo con quello produttivo, infatti, non solo ha indebolito il sistema alimentare globale, ma ha prodotto anche un drastico indebolimento e, conseguentemente, un’eccessiva volatilità dei prezzi dei beni da cui, per l’appunto è scaturita la crisi. La continua crescita del costo dei beni di prima necessità ha così incentivato ricche imprese, governi, società finanziarie, grandi banche, fondi di investimento e multinazionali ad investire sulle terre del Terzo Mondo, sperando in un loro continuo innalzamento in termini di prezzo e valore economico.

Infine, ma non per ordine di importanza, vi è il business concernente la produzione di biocarburanti legata in particolare alla nuova politica energetica intrapresa da Stati Uniti e Unione Europea. Quest’ultima, infatti, attraverso una politica di incentivazione alle imprese, di fatto le spinge ad una frenetica “corsa alla terra” dei paesi in via di sviluppo, il cui 66% dei territori destinatari di tali investimenti è adibito a colture specifiche – quali soia e mais – per produrre biocarburanti.

Questa corsa alla terra praticata dai grandi gruppi economici internazionali, oltre a creare controversie con le popolazioni locali che finiscono per avere sempre la peggio sfociando in gravi crisi sociali o rivolte, ha prodotto una grave marginalizzazione dei piccoli produttori, in ragione del fatto che il sistema, così come è impostato, permette solo alle grandi aziende il potere di determinare il mercato. Il fenomeno, che sta maggiormente interessando i territori dell’Africa, dell’Asia Sud-orientale e dell’America meridionale, si diffonde con la complicità dei governi locali che vendono le terre giustificando la scelta in termini economici o di sviluppo. Una svendita.

Sicuramente il continente sudamericano stia vivendo negli ultimi anni una stagione di profondo rinnovamento e ritrovata sovranità. Su tali presupposti, si coglie come quella connessa alla sovranità alimentare costituisca una questione da affrontare necessariamente al fine di evitarne la trasformazione in un’indelebile piaga capace di mettere a repentaglio non soltanto la sovranità e la sicurezza alimentare, ma anche quella politico economica regionale. A questo si aggiunge quanto emerge dal rapporto dell’ufficio regionale della FAO, secondo cui i prezzi degli alimenti in Sud America e nei Caraibi sono saliti dello 0,9% lo scorso novembre.

Il fenomeno del land grabbing che interessa il Sud America presenta proprie caratteristiche e peculiarità legate soprattutto al contesto regionale. Sviluppatosi intorno agli anni ’80, a seguito delle imprudenti politiche neo-liberali che hanno indotto gli Stati ad abbandonare le politiche di credito e di assistenza tecnica ai campesinos nonché ad abbattere i dazi doganali sulle importazioni di cibo, il fenomeno ha marginalizzato l’economia contadina determinando benefici solo ed esclusivamente per le grandi multinazionali del settore agricolo, le uniche ad avere l’accesso garantito agli investimenti e alle necessarie conoscenze tecniche. Ovviamente questo repentino capovolgimento della situazione, oltre a creare una crisi sociale che per parecchi anni ha interessato i paesi della regione, ha totalmente modificato la struttura agraria facendo sì che la stessa divenisse ad appannaggio esclusivo del grande capitale, a scapito delle comunità rurali che da padrone sono state degradate allo status di lavoratori temporanei senza stabilità e con paghe estremamente ridotte.

Italo Angelo Petrone -ilmegafono.org