Una nuova denuncia di Greenpeace mette sotto accusa il giornalismo italiano, reo in questo caso di essere poco attento ai temi della crisi climatica. La nota associazione ambientalista si è infatti affidata a uno studio effettuato dall’Osservatorio di Pavia che ha analizzato gli articoli dei primi quattro mesi del 2022, pubblicati sui cinque quotidiani italiani più diffusi. Si tratta di Corriere della Sera, la Repubblica, il Sole 24 Ore, Avvenire e La Stampa. In un’epoca in cui il cambiamento climatico incide sulle nostre vite a 360 gradi, lasciando numerose incognite sul nostro insostenibile stile di vita e sulle ripercussioni che subiremo a medio-lungo termine, sulle principali testate italiane si trovano in media due articoli al giorno che accennano alla crisi climatica, di cui solo uno tratta direttamente il tema.

E a pensarci bene la denuncia di Greenpeace non stupisce più di tanto in un Paese in cui, fino a qualche anno fa, quotidiani di tiratura nazionale portavano avanti una barbarica posizione negazionista sul tema. È il caso, ad esempio, di Libero che, a maggio 2019, in seguito a una anomala nevicata, titolava “Riscaldamento del pianeta? Ma se fa freddo”. Il tutto per avere l’ennesima scusa per attaccare Greta Thunberg e le migliaia di giovani che hanno sposato la sua battaglia, denominati poco affettuosamente “Gretini”, perché in Italia i giovani vanno bene solo se si adeguano alla cultura di massa. Se scelgono di preoccuparsi per il futuro c’è subito qualcuno pronto a dargli dei cretini. In quella occasione Il Tempo titolò con “Anche il tempo si è rotto di Greta”. Titoli agghiaccianti a rivederli oggi. All’epoca della globalizzazione e dei milioni di notizie da cui veniamo bombardati ogni giorno, 3 anni sono come 30 e si tende a dimenticare chi ha fatto deliberatamente disinformazione. Intanto questi signori, come tutti, oggi si ritrovano ad affrontare una delle estati più calde e anomale della storia.

Nello stesso rapporto Greenpeace ha anche esaminato lo spazio dato alla pubblicità a quelli che sono i principali responsabili della crisi climatica derivante dal surriscaldamento globale: le industrie dei combustibili fossili, dell’automotive, del traporto aereo e delle crociere via mare. E anche qui la realtà non lascia spazio a fraintendimenti: a guidare la classifica c’è il Sole 24 Ore che ha una media di ben 5 pubblicità di aziende appartenenti a questi settori ogni settimana. Queste industrie risultano essere tra i principali finanziatori delle testate italiane. Altro punto cruciale è il modo in cui la crisi climatica viene raccontata. In merito a ciò, è emblematico il dato risultante dai 528 articoli esaminati tra gennaio e aprile 2022. Solo 2 volte le compagnie petrolifere sono state indicate tra le responsabili della crisi climatica. In più, questo argomento viene trattato principalmente come un tema politico o economico (rispettivamente 25,2% e 45,3%) e quasi mai come una tematica ambientale o sociale che rischia di sconvolgere la vita delle persone.

Incrociando questi e altri dati rappresentativi in 5 parametri di valutazione, Greenpeace ha stilato quindi una classifica denominata “Classifica degli intrappolati”, per denunciare la dipendenza del giornalismo dalle aziende inquinanti che automaticamente non rendono libero il ruolo della stampa nazionale in merito a un problema che andrebbe raccontato senza peli sulla lingua. In questa classifica solo Avvenire ha raggiunto una stringata sufficienza, superando 3 parametri su 5, ma nessuno pienamente. Le altre 4 testate prese in esame hanno raggiunto appena il voto di 2 su 5.

Insomma, alla prova dei fatti il giornalismo italiano è molto più attento al greenwashing e alla tutela di chi regge il sistema economico-industriale, che a raccontare la grave crisi climatica indicandone i responsabili e le gravi ripercussioni sociali. In un Paese dove i giornali hanno ancora un grande potere nell’influenzare l’opinione pubblica, come cittadini abbiamo il diritto di pretendere una comunicazione trasparente. La pubblicità può essere sicuramente un punto di partenza. Per questo motivo è importante firmare la petizione di Greenpeace che propone di fermare la pubblicità delle aziende inquinanti, esattamente come fatto con l’industria del tabacco. Il fumo uccide, il greenwashing pure.

Vincenzo Verde -ilmegafono.org