La narrazione della bellezza, soprattutto nelle zone particolarmente ricche di luoghi suggestivi, viene sempre più spesso legata al concetto di orgoglio. L’orgoglio nel vedere la propria città o il proprio paesino, le meraviglie che contengono, al centro dell’interesse dei media, delle trasmissioni tv, dei social, dell’industria del turismo e dei grandi eventi. Questa, d’altra parte, è l’epoca del marketing turistico, che non riguarda solo le imprese del settore e dell’indotto che si crea, ma anche le amministrazioni, sempre più simili a un’agenzia di promozione turistica e sempre più lontane dalla realtà e dalla sobrietà di chi dovrebbe mettera al primo posto la tutela del patrimonio naturale e culturale, trovando il giusto equilibrio e le alternative possibili. Oggi, specialmente quando ci si avvicina ad appuntamenti elettorali, si assiste a una sorta di “liberi tutti” davanti a qualsiasi iniziativa possa creare profitto, flussi, visibilità, consenso di massa.

Qualsiasi cosa, nell’era della rivoluzione turistica, che ha soppiantato la vetusta (e nociva) smania industrialista degli anni ‘60-‘70, può essere sacrificata al primato del marketing e alla retorica di un potere che mette a disposizione (o svende) i suoi più preziosi arredi, cercando al contempo di nascondere la polvere che vi si nasconde sotto. La vicenda dei concerti al teatro greco di Siracusa e quella dell’area naturale della Pillirina (per la quale il Comune ha rilasciato la concessione edilizia a una società che da anni mira a edificare su quella zona di pregio a ridosso della Riserva), sono solo l’ultima prova di un totale disinteresse per l’identità e la storia dei luoghi e per la tutela della loro integrità. Eppure non si direbbe, visto l’orgoglio per la bellezza di Siracusa che, in maniera ossessiva, gli amministratori locali ostentano quotidianamente sui social, con post di ogni sorta, foto e video che riprendono dall’alto il centro storico (e non altro, visto lo stato indecente del resto della città), parole di influencer, promozione di spettacoli e altro ancora.

Il punto è proprio questo. Si celebra una bellezza che, è bene ricordarlo, non è merito di chi amministra, ma eredità di una storia antica che, nonostante tutto, è riuscita a conservarsi e a giungere fino a noi. Qualcuno, purtroppo, si arroga il diritto di disporne come meglio si crede, a proprio uso e consumo, a fini politici ed elettorali o per saziare la brama di profitto di una terra nella quale, per giustificare qualsiasi scempio, si usa sempre il ricatto dell’occupazione, delle opportunità e, adesso, anche del divertimento. Anzi, della fame di musica e di cultura. Poco importa che questa fame si trasformi in bulimico appetito da saziare divorando qualsiasi cosa, compreso uno dei beni più importanti, non di Siracusa, ma dell’Umanità. E qui si arriva a un altro punto, che caratterizza sempre di più il nuovo costume politico, quello cresciuto a pane, social e arroganza. È la tracotanza indecente, che spinge chi amministra la cosa pubblica a sbeffeggiare, contestare o perfino accusare di interessi reconditi i dissenzienti, in questo caso studiosi, archeologi, ambientalisti, persone dalla specchiata onestà e privi di ruoli politici o di qualsiasi altro tipo che possa procurar loro un vantaggio.

È la maleducazione del potere, lo stesso che, in una rincorsa alla rielezione o alla sopravvivenza politica, sta decidendo in modo autoritario, senza un luogo di confronto (ricordiamo che a Siracusa il consiglio comunale è decaduto da tempo), di sacrificare o apportare modifiche profonde a pezzi importanti della città, monumenti, struttura urbanistica, prospetti. Non c’è in questo lembo di terra del profondo sud, il minimo spazio per il dissenso, in una sorta di monarchia istituzionale che scalcia, urla e fa capricci quando qualcuno (troppo pochi purtroppo) punta il dito o semplicemente pone domande. Una monarchia che si nutre di chi, come la sempre carnevalesca Regione siciliana, le fornisce gli strumenti più impensabili per scavalcare ogni ostacolo, ogni aspetto che secondo la legge e il buonsenso suggerirebbe altre scelte.

La Sovrintendenza è un ostacolo? Bene, la Regione produce un paio di leggi per toglierle qualsiasi potere decisionale su ciò che sarebbe di sua esclusiva competenza. Ciò detto, però, c’è un tema che sta a monte di qualsiasi polemica sulla compatibilità degli eventi e dei progetti antropici con la salute e la tutela dei beni culturali e delle zone di pregio naturale e storico. È un tema politico in senso alto, culturale, perfino antropologico, perché va oltre le trame dei partiti o dei sindaci e le brame dei cacciatori di profitto o dell’industria del divertimento. Riguarda l’amore per ciò che abbiamo, la cura che come popolo dedichiamo alla nostra storia, a ciò che ne testimonia la grandezza oggi sfiorita. Riguarda la bellezza e la sua difesa, qualcosa alla quale questo popolo, siracusano, siciliano (e non solo), non è stato e non è tuttora educato.

Prendendo a prestito il discorso che gli sceneggiatori del celebre film “I cento passi” affidano a Luigi Lo Cascio, nell’interpretare Peppino Impastato, potremmo ripetere che “se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà” e che “bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione, ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore”. Tutte qualità che permetterebbero alla popolazione di prendere coscienza, di acquisire consapevolezza e sentire il profumo di una cultura vera, liberata dalle forme commerciali e cialtrone di chi la considera solo un business da favorire ad ogni costo, guardando con fastidio qualsiasi logica e più che legittima opposizione.

Bisognerebbe insegnare ai cittadini a mostrarsi diversi da chi li amministra, ad amare la città guardando al futuro e non, come fanno altri, a una parentesi di 5 o 10 anni. Bisognerebbe stimolare i cittadini ad amare l’arte, i luoghi di pregio, patrimonio dell’Umanità, la cultura, il sapere, comprendendo che se si sbaglia oggi, se si espone, per un proprio sfizio, un luogo antico a un danneggiamento irreversibile che ne accorcia l’esistenza nella sua forma unica e irripetibile, poi non ci sarà più tempo per recuperare, né per lamentarsi, ma solo per scuotere la testa. E lamentarsi, a posteriori, come sempre. A chi oggi parla di “quattro pietre”, a chi fa il tifo per i concerti ritenendo più importanti divertimento e turismo rispetto alla salvaguardia di un bene storico inestimabile, suggerirei di fermarsi, di non essere lo specchio di chi li amministra, di assumere una maggiore sensibilità al bene comune, un maggior senso civico, un orgoglio più sincero.

Il turismo è importante, ma non deve diventare una nuova industria senza regole. In questa città e provincia abbiamo già dato con le promesse di ricchezza in cambio del nostro futuro. Le conseguenze sono note, come è noto che il profitto promesso non dura per sempre, a differenza dei danni che esso produce. Il sindaco, l’amministrazione, le imprese turistiche, gli enti privati di gestione della macchina dei grandi eventi abbiano il buonsenso di fare un passo indietro e trovare le alternative, che ci sono. E soprattutto abbiano l’umiltà di ascoltare. Perché la hybris, per rimanere in tema di classicità greca, non ha mai portato a risultati positivi.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org