Tende accampate davanti alle grandi università, da Milano a Roma, da Bologna a Napoli: è la forma di protesta scelta dagli studenti contro il caro affitti, quello che negli ultimi anni è diventato un problema a tutti gli effetti, per i ragazzi e per le loro famiglie. Spesso ci si ritrova a dover proseguire il proprio percorso di studi dopo il liceo presso atenei lontani dalla propria città d’origine, entrando nel numerosissimo club dei “fuori sede”, ragazzi e ragazze espatriati che iniziano a condividere la loro quotidianità con i loro simili, altri espatriati. Esperienze per molti formative, ma che a lungo andare diventano un macigno da sostenere: Milano è una delle città più gettonate per completare gli studi, ma è anche una delle più care, con affitti che per una singola stanza, magari condivisa, arrivano a sfiorare e superare i 500 euro al mese. Tanti studenti sono costretti a trovarsi un impiego da affiancare alle ore di studio, sballottati dagli eventi e dallo stress in una vita che diventa sin da subito costellata di difficoltà.

È da tempo che questa situazione appare inaccettabile. Molti sono costretti a rinunciare ai propri sogni, letteralmente: affitti e tasse universitarie insieme non possono andar sempre d’accordo, ed ecco che bisogna ripiegare su atenei diversi, oppure, nel peggiore dei casi, rinunciare all’università, che si avvia a diventare un privilegio. E questo non può essere tollerabile in una società contemporanea, nella quale il diritto allo studio dovrebbe svicolarsi da qualsiasi logica di mercato. Ecco perché i ragazzi protestano, fanno sentire la propria voce, stanchi di non essere ascoltati, a nome anche delle loro famiglie che fanno incredibili salti mortali per garantir loro un diritto per il quale lo Stato non si è mai impegnato abbastanza. Uno Stato che oggi, attraverso le voci di personaggi istituzionali e vicini agli ambienti ministeriali, si permette talvolta di giudicare con la spocchia del privilegiato.

Il consigliere del ministro Gennaro Sangiuliano, il 31enne Francesco Giubilei, ha tuonato dall’alto del suo account Twitter: “Se invece di passare le loro giornate a fare campeggio in tenda fuori dall’università, certi pseudo studenti passassero il tempo a studiare, potrebbero costruirsi un futuro migliore come fanno migliaia di giovani (tanti pendolari) che con sacrificio frequentano l’università”. E d’improvviso, il genio, verrebbe da dire. Un tweet che fa sorridere, se pensiamo sia scritto da un ragazzo di soli 31 anni, che esprime concetti alquanto obsoleti, ma che lascia amarezza se pensiamo al ruolo che questo ragazzo (dal CV brillante, per carità) ricopre. Un CV brillante costruito con merito, per usare una parola tanto cara all’attuale governo, ma con una serie di privilegi che di certo non possono essere comuni a tutti gli studenti contro cui lui stesso punta il dito.

È stata scovata infatti un’intervista rilasciata dallo stesso Giubilei nel 2010, nella quale lui stesso dichiarava che è “dovere dei genitori” provvedere all’affitto dell’alloggio di un universitario fuori sede. Un ragionamento che non fa una piega, ma se solo scendesse dallo scranno accusatore e vestisse i panni di chi non ha le sue stesse disponibilità economiche, non sarebbe un danno. A far da eco alle parole di Giubilei è stato il primo cittadino di Venezia Luigi Brugnaro: “L’altro giorno un ragazzo mi ha detto: ‘Io ho trovato un posto letto a 700 euro. Per me son troppi’. Gli ho detto: ‘Tu non meriti di laurearti, perché se ti fai fregare 700 euro per un posto letto non meriti di diventare classe dirigente’. Però bisogna saper cogliere una parte positiva, cioè la segnalazione di un malessere, di un problema”. Una dichiarazione che ricorda vagamente il motto di Wanna Marchi, che elegantemente potremmo tradurre con “i creduloni vanno fregati”, anche se la versione originale rende sicuramente di più. Qual è la soluzione che propone il sindaco Brugnaro?

Occorrerebbe un piano di riduzione degli affitti, più che semplificare il tutto alla sola stupidità di chi scende al compromesso di un affitto elevato, perché forse non ha alternative. E la retorica del “io andavo anche a lavorare quando andavo all’università”, propugnata dal primo cittadino della Laguna, sa di stantio come tutte le critiche sui giovani che ormai non reggono più. Soprattutto davanti a una politica lontanissima dalle soluzioni dei problemi. È di pochi giorni fa la notizia del ritiro dell’emendamento per sbloccare 660milioni per gli alloggi universitari, che verrà spostato sul decreto legge su enti pubblici e solidarietà sociale. Un altro freno che lascia la questione caro affitti in sospeso, ancora. Nel frattempo, la protesta degli studenti rischia di diventare il palco sul quale maggioranza e opposizione combattono le loro guerre ideologiche, tra passerelle presso i luoghi delle proteste, non sempre ben accolte, e silenzi assordanti, passando per la rivendicazione di principi enucleati nelle stesse nomenclature dei ministeri targati Meloni.

I giovani non sono più i bamboccioni senza idee e prospettive, anzi, non lo sono mai stati. Quella narrazione, offensiva e dannosa, è finita. La Generazione Z, quella cresciuta sui social, si sta dimostrando migliore di quanto pensassimo, più consapevole, più disposta a combattere per i propri diritti e per i diritti dei loro figli, anche se loro, figli, lo saranno ancora per un po’, vista la giovane età. Sono più coraggiosi di noi derivati del capitalismo, abituati alla produttività a ogni costo, anche la vita stessa, venduta spesso al profitto di aziende e prodotti che ci volevano sudditi e servitori. Loro non ci stanno, e sono pronti a trascorrere le giornate in tenda, a rendersi bersaglio di decreti legge scellerati, a inventarsi forme di protesta che, condivisibili o meno, stanno comunque portando a galla questioni importanti.

Non ci stanno, sebbene siano bombardati da notizie sui baby laureati, sui prodigi accademici spacciati per normalità. Non ci stanno soprattutto per tanti dei loro coetanei che non hanno retto a tutto questo, non ci stanno per le loro famiglie, chiamate a sacrifici spropositati. C’è da ammirarli e sostenerli, ricordandoci, per quanti di noi abbiano frequentato l’Università, di quegli anni in cui spesso ci siamo sentiti fuori posto, fuori corso, fuori sede: nessuno dovrebbe sentirsi così escluso.

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