Accendere una miccia e aspettare: il fuoco si alza e crea una cortina di fumo capace di nascondere il tanto che questo Paese non vuole vedere e di cui non vuole parlare. È un vecchio trucco ma funziona quasi sempre e, in Italia, i vecchi maestri hanno fatto buona scuola. Intorno e dietro alle proteste di chi si oppone al “green pass” si nasconde qualcosa che in molti sembrano non vedere e non capire. Da qualche settimana si parla solo di questo, come se il mondo si fosse fermato e tutto il resto non esistesse. Allora, forse, bisognerebbe provare a capire chi cavalca questa protesta, chi prova a guidarla e a governarla in ogni sua mossa. Limitarsi a pensare che nasca solo dalla spontanea avversione di una parte dei cittadini alla scienza e alla paura dei vaccini è un grande limite, pensare che sia solo il frutto di un bisogno di libertà gridato dalla piazza sarebbe un errore, forse, ancora più grave.

C’è una costante nella storia di questo Paese: ogni volta che si avverte la necessità di una svolta politica e sociale, di un passo in avanti, le forze più conservatrici e reazionarie si prendono la scena. C’è sempre la destra estrema a soffiare sulla miccia che crea la cortina di fumo che serve a confondere e nascondere. È stato così negli anni della strategia della tensione, è stato così negli anni della rivolta di Reggio Calabria. È così ancora oggi: le azioni di Forza Nuova e i suoi legami con la Lega e Fratelli d’Italia oggi escono allo scoperto, ammesso e non concesso che si fossero mai nascosti. La violenza della piazza di Roma e l’assalto alla sede della CGIL non sono casuali e frutto di una protesta di piazza sfuggita di mano: sono il frutto di un calcolo preciso e messo in atto in un momento preciso. In questo calcolo entra a pieno titolo anche il tentativo di dividere i lavoratori, di metterli l’uno contro l’altro in una assurda guerra fra poveri in nome di una libertà che prima del green pass non ha mai interessato la destra di questo Paese. Eppure, l’agenda di governo avrebbe tanti punti su cui lavorare.

Le fabbriche chiudono e licenziano, delocalizzano; di lavoro si muore ogni giorno e ogni giorno di più. Le condizioni di lavoro, dalla trasparenza dei contratti alla sicurezza sul lavoro, sono nelle mani di chi guarda solo al profitto immediato. E questo non riguarda solo gli operai delle fabbriche ma ogni singolo luogo di lavoro. Lo hanno spiegato con chiarezza le donne e gli uomini della GKN di Firenze e della Whirlpool di Napoli, lo hanno ribadito i portuali di Livorno con i loro striscioni: “Il problema è il lavoro che manca, non è il green pass”. Eppure, sui portuali di Livorno i media di Stato hanno concesso pochi minuti di un’attenzione che, invece, sì è concentrata soprattutto sul porto di Trieste.

Confindustria, nell’incontro di settembre con Mario Draghi, ha definito il Presidente del Consiglio come “l’uomo della necessità”. Draghi, dal canto suo, ha lanciato l’idea di un patto fra imprese e sindacato, ha promesso che non saranno aumentate le tasse e assicurato che la ripresa economica va meglio. Silenzio assoluto sulle delocalizzazioni e sulla necessità che le imprese si debbano assumere le proprie responsabilità su investimenti, occupazione, sicurezza sul lavoro. L’abbraccio fra Confindustria e il governo di Mario Draghi fa sorridere le imprese ma il mondo del lavoro vive una sofferenza che mette all’angolo la centralità e la dignità del lavoro. Si parla di ripresa, ma che futuro può avere una ripresa dove questa centralità e questa dignità sono ai margini della società? Ma nel Paese succedono anche altre cose e sono le stesse da molto tempo.

Per esempio, in questo momento non c’è tempo per parlare delle mafie, tutte. Qual è stato e qual è oggi il livello dell’informazione sul maxiprocesso alla ‘ndrangheta, nell’aula bunker di Lamezia Terme? Eppure, quel processo è il più importante dai tempi del maxiprocesso di Palermo del 1986. Qual è, oggi, il reale impegno dello Stato nei confronti delle mafie? Poche settimane sono passate da quando la Corte d’Assise d’Appello di Palermo ha emesso la sua sentenza sulla trattativa Stato-mafia: quella sentenza ha condannato i mafiosi coinvolti ma ha raccontato al Paese che l’ex senatore Marcello Dell’Utri, uomo fondamentale per la nascita di Forza Italia, è stato assolto “per non avere commesso il fatto”. Allo stesso tempo ha assolto anche alti ufficiali dell’Arma “perché il fatto non costituisce reato”. Quindi, riassumendo, la minaccia era vera ma non è mai esistita nessuna trattativa. Può essere credibile tutto questo?

La cortina di fumo avvolge anche questo aspetto della nostra vita, e non è un aspetto di poco conto. C’è una parte consistente di questo Paese, da nord a sud, dove le mafie controllano il territorio, le attività, il lavoro, la politica. È un piede sul collo che schiaccia e soffoca la società civile. Il sistema giudiziario italiano da sempre vive su equilibri pericolosi e per troppi versi oscuri, la recente sentenza su Domenico Lucano arrivata solo pochi giorni dopo la sentenza sulla trattativa Stato-mafia è solo l’ultimo esempio in ordine di tempo. La riforma Cartabia non sembra in grado di incidere su quegli equilibri.

In una recente intervista l’ex procuratore di Torino e Palermo, Gian Carlo Caselli, ha affermato: “I tempi dei processi non si stabiliscono e non si regolano per decreto, il processo non è una catena di montaggio e i criteri priorità per le Procure affidati al Parlamento sono un vulnus all’indipendenza della magistratura”. Prima di lui le critiche erano arrivate da altri magistrati, fra cui il procuratore capo di Catanzaro, Nicola Gratteri, che senza mezzi termini in un’intervista a La7, l’ha definita come “la peggior riforma di sempre “. Ma l’indipendenza della magistratura e la riforma della giustizia sono argomenti di cui si parla da sempre e su cui in troppi hanno pagato un prezzo altissimo.

Le politiche di accoglienza, i diritti e la dignità dei migranti, restano anche loro nel dimenticatoio dell’agenda di Governo. Le leggi sbagliate e vergognose, i decreti sicurezza, gli accordi infami con la Libia, restano leggi scritte dello Stato. Qual è la reale posizione del nostro governo con l’Egitto e perché continuiamo a produrre e vendere armi a regimi corrotti e dittatoriali? Quali iniziative sono state messe in atto per conoscere la verità sull’assassinio di Giulio Regeni e per ottenere la libertà di Patrick Zaki? E quando, il Parlamento, capirà l’importanza e la necessità di una legge sullo Ius Soli? Infine, questi due anni di pandemia hanno messo a nudo, se mai ce ne fosse stato bisogno, tutto il castello di carte su cui si reggeva la Sanità in Italia. Un castello costruito su interessi privati e criminali, che per molto tempo in tanti hanno favorito, coperto e occultato. La sanità pubblica, così come la scuola pubblica, sono da sempre un perimetro del terreno minato su cui nessuno vuole camminare.

Fermiamoci qui, anche se è davvero lungo l’elenco delle questioni nascoste dalla cortina di fumo creata dalle piazze dei No pass. In quell’elenco un posto di primo piano lo merita l’eterno problema della chiusura dei covi fascisti e dei movimenti che rivendicano quella matrice che l’nn. Giorgia Meloni fatica a individuare. Eppure, non c’era bisogno di un assalto squadrista in stile ventennio per capire che quei covi andavano chiusi e i loro leader arrestati. Bastava semplicemente rispettare e applicare la Costituzione della Repubblica Italiana.
Ma, questo, non lo ha mai fatto nessun governo della Repubblica. La cortina di fumo in questo Paese esiste da tempo, è sempre esistita, e ha sempre avvolto, protetto e nascosto, tutto quello di cui è bene che i cittadini non si occupino. Più facile trovare e dare loro argomenti alternativi su cui farli scontrare. Oggi è il turno del green pass.

Maurizio Anelli -ilmegafono.org