Se c’è un modo sbagliato e irritante di condurre una campagna elettorale è quello di tentare di distruggere l’avversario, ancor più se si tratta di qualcuno che, pur lontano dalla nostra visione della politica, rimane una persona di valore, schierata dalla nostra stessa parte su altre questioni estremamente importanti. In Sicilia si sta mettendo in atto un pericoloso gioco al massacro, fatto di colpi bassi, strumentalizzazioni e delegittimazioni insopportabili. Il fronte dell’antimafia, già di per sé composito e frastagliato, si è spaccato sulle candidature alternative di Rosario Crocetta e Claudio Fava alla presidenza della Regione. In un contesto normale, sarebbe una gara potenzialmente affascinante, tra due brave persone, due uomini coraggiosi e intelligenti, che hanno speso buona parte della loro vita e dell’impegno politico nella lotta alla criminalità organizzata. In un Paese normale, ci si aspetterebbe un confronto chiaro, civile, corretto su programmi, soluzioni e prospettive di un’isola complessa che gioca un ruolo determinante nello scenario politico ed economico nazionale. Il nostro però è un Paese avvelenato, nel quale si è radicata, ormai da qualche decennio, l’abitudine a mettere in secondo piano programmi e contenuti, a vantaggio dello scontro, uno scontro tra tifoserie che punta, in ogni momento, a colpire l’avversario, demonizzarlo, andando a smantellare tutto, perfino la sua storia e i suoi valori.

Appena sette giorni fa scrivevo dell’errore madornale compiuto da Rosario Crocetta nell’accettare il sostegno dell’Udc, cioè di quel partito che in Sicilia è la massima espressione del potere marcio e del clientelismo sfrontato, dentro il quale milita la stessa gente che per anni ha sostenuto e difeso Cuffaro, condannato in via definitiva per mafia e per i suoi rapporti con Michele Aiello, uomo legato al boss corleonese Provenzano. Poco conta la scelta, compiuta dall’Udc, di “ripulirsi” e di escludere dalle candidature uomini indagati o condannati per mafia. Perché questo non cancella gli anni di condivisione di un potere malato, macchiato, imbarazzante. Chiudere le liste a personaggi impresentabili non ha nulla di rivoluzionario e non risolve il problema di una formazione che, nei territori, mantiene spesso una fisionomia ambigua. L’alleanza con gli uomini di D’Alia e l’appoggio di un partito, il Pd, che ha sostenuto il governo Lombardo, altro ex presidente della Regione accusato di contiguità con la mafia, sono due novità inconciliabili con il valore e la storia di Rosario Crocetta. Il cambiamento di cui parla è zoppo in partenza, è una carrozza le cui ruote sono già bloccate da ingranaggi arrugginiti, vecchi, dal cigolio insopportabile. Tutto ciò può mettere in discussione le scelte strategiche dell’ex sindaco di Gela, persino lo spessore politico; ciò che, però, non è ammissibile è dimenticare la sua storia e la sua onestà.

Da più parti, soprattutto tra i sostenitori di Claudio Fava, si è aperta una ingiusta caccia all’uomo, un’opera di inaccettabile delegittimazione, con spruzzi di fango che fanno male. D’un colpo, quel sindaco antimafia che veniva osannato ovunque si trova addosso pesanti etichette affibbiate proprio da chi lo sosteneva. La delusione di fronte a certe scelte è umana, ma non può sfociare in oltraggi al buon senso, oltre che alla persona. Ingiurie di ogni tipo, allusioni assurde sulla sua vicinanza a personaggi discussi, una presunta alleanza sotto banco con Gianfranco Miccichè, fino ad arrivare, come capita di leggere sul web, a definirlo mafioso o addirittura a dubitare circa l’utilità di mantenere la sua scorta. Sono imbizzarriti, cavalli pazzi della coscienza e della memoria, detrattori che pure navigano sullo stesso mare su cui Crocetta ha nuotato per anni con coraggio e pazienza, solo, in mezzo ad una giungla fatta di piombo pronto a fermarlo. Come se ci si fosse dimenticati che, nel 2010, la mafia, intenzionata a riprendere una strategia stragista, aveva progettato un attentato proprio ai danni di Crocetta, per il suo grande lavoro contro la “stidda” gelese, e della cugina del giudice Tona, della procura di Caltanissetta.

Anche Claudio Fava sbaglia enormemente quando attacca l’ex sindaco di Gela sul terreno dell’antimafia, quando lo accusa addirittura di essere sponsorizzato da Mario Ciancio e Raffaele Lombardo. Non è possibile leggere e ascoltare certe cose. Non si può arrivare a tanto pur di vincere una sfida elettorale. Se lo staff e i sostenitori di Crocetta peccano a volte di arroganza, presi come sono a difendere scelte per cui è complicato trovare una logica accettabile, tra coloro che appoggiano Fava si sta insinuando un virus urticante e a tratti indecente, che rischia di infettare ogni cosa, anche quei confini sacri che contraddistinguono una parte dell’isola che combatte da anni battaglie durissime contro la mafia, non solo da scrivanie pregiate della cultura (spesso un po’ troppo impolverate di ideologia), ma anche sul campo, in mezzo al fango di una vita quotidiana fatta di terribili rinunce professionali e umane. 

Il gioco al massacro, alla fine, si ripercuote  anche su chi lo attua, non solo su chi lo subisce. E in questo caso a rimetterci saremo tutti noi, feriti e in conflitto, delusi e incazzati, mentre altri, i soliti, rideranno di gusto con i loro ghigni cariati. Fermarsi è ancora possibile, ritornare a dialogare e confrontarsi senza eccedere, senza sferrare colpi violenti ad una parte di quest’isola che, dopo le elezioni, comunque vadano a finire, dovrebbe rimanere sempre compatta, determinata, cosciente di remare, se non in politica almeno nella società, verso una comune direzione di libertà e di giustizia. Votate pure per chi volete, per chi vi convince di più, ma, per favore, non distruggete tutto. Sarebbe letale.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org