Si può morire di Università? Può il percorso di studi, finalizzato all’accumulo di credito, alla media ponderata, alla laurea in tempo trasformarsi in una trappola mortale? Sembra un’ipotesi surreale, un’iperbolica sceneggiatura dell’orrore, invece è cronaca alla quale forse ci stiamo abituando, ma di fronte alla quale non possiamo smettere di arrabbiarci. L’ultima in ordine cronologico è Diana Biondi, 27 anni e una laurea ancora da mettere in bacheca, ma una vita intera davanti. Una vita sfumata troppo presto, in un dirupo di Somma Vesuviana, cittadina del napoletano nella quale viveva, nel quale Diana si è lanciata, forse schiacciata dal peso che, attraverso esami, laurea e ambiente universitario, la stava consumando. Nessuno sa cosa albergasse nel cuore e nella mente di Diana, o di Riccardo, di Claudio, o della studentessa di 19 anni che si è tolta la vita a Milano, lasciando un biglietto straziante: “Ho fallito”.

Prendendo in prestito le parole di Lodo Guenzi, de Lo Stato Sociale, ma cosa mai puoi aver fallito a 19 anni? Ma soprattutto, cosa o chi spinge una ragazza di 19 anni a pensare di aver fallito? È qui che bisogna venire a capo del dramma che si consuma nelle Università. È qui che bisogna iniziare a instillare nei nostri ragazzi un’idea più sana di “fallimento”, un qualcosa che non deve necessariamente qualificarci come perdenti. La narrazione contemporanea dell’Università fa passare come normali le performance fuori dall’ordinario, come i laureati a 20 anni, i giovanissimi accademici dalle doti strabilianti, o quelli che sacrificano sonno, amici e tempo libero per una laurea conquistata in poco tempo. Non c’è nulla di normale in tutto ciò, c’è del talento, indubbiamente, ma ci sono anche tante opportunità economiche a supporto. Nessuna colpa per questo, ma, parimenti, nessun dito puntato contro chi non ha questo bagaglio di privilegi.

Puntiamo invece il dito contro l’Università della competizione e della gara al voto più alto, contro l’Università degli appelli impossibili e delle tasse proibitive. Puntiamo il dito contro la lettera scarlatta dei “fuoricorso”, talvolta costretti a un imbarazzo inopportuno, ribelliamoci all’eccellenza a tutti i costi che schiaccia l’autostima di ogni studente. L’Università è un mondo fantastico e crudele, è un campo di battaglia nel quale le ultime generazioni sono state obbligate a vivere sotto la pressione del tempo, della corsa a tutti i costi perché più giovane sei, più possibilità avrai di trovare lavoro. Una favola che la realtà post lauream smentisce su tutta la linea. E chi non ha le spalle troppo larghe, tutto questo peso non può reggerlo.

Perdonateci se siamo esseri umani. Perdonateci se non siamo robot votati alla performance a tutti i costi. Perdonateci voi. E chissà se Diana, Riccardo, Claudio, la studentessa di Milano, e le decine di studenti che hanno deciso di togliersi la vita perché schiacciati dalle aspettative e dalle pressioni riusciranno mai a perdonarvi. Questo gioco all’ultimo esame non è stato colpa loro.

Virago -ilmegafono.org