Solo un mese fa, su queste pagine, abbiamo parlato della riorganizzazione della cupola mafiosa a Palermo che, secondo le indagini, sarebbe stata voluta da Settimo Mineo, boss arrestato proprio agli sgoccioli del 2018. A distanza di poco tempo, la mafia palermitana subisce un altro duro colpo: la Dda di Palermo ha infatti arrestato diversi esponenti mafiosi (tutti legati alla cupola), tra i quali Leandro Greco, nipote del noto boss Michele, e Calogero Lo Piccolo, figlio di Salvatore, boss al 41bis. Per gli arrestati l’accusa è di “far parte della ricostituita Commissione di cosa nostra”.

Tutto ciò è stato reso possibile grazie anche alle dichiarazioni di due nuovi collaboratori di giustizia, Filippo Colletti e Filippo Bisconti, entrambi arrestati proprio nel corso dell’indagine di dicembre. I due, che hanno alle spalle anni di comando dei rispettivi clan, hanno deciso di collaborare con i magistrati, rivelando e confermando il progetto di ricostituzione della cupola e i nomi degli esponenti che ne avrebbero preso parte.

Al di là dei puri dati di cronaca e della notizia in sé, maggiore attenzione andrebbe posta su un aspetto ben più generale: cosa nostra è in fermento. Ciò è dimostrato non solo dall’ormai evidente tentativo di ricostituirsi, ma anche e soprattutto dalla velocità con la quale essa reagisce ai colpi della giustizia e agli arresti che negli ultimi anni l’hanno decimata. Nonostante tutto, infatti, la mafia siciliana riesce a mantenere comunque un potere ed una presenza capillare sul territorio, dimostrandosi ancora una volta abile a risollevarsi a rigenerarsi.

Questo è un segnale che spiega piuttosto bene il problema reale della criminalità organizzata e del danno che produce nella nostra società: la mafia non è soltanto un problema in termini di sicurezza, ma lo è anche per quanto riguarda l’economia, il benessere e lo sviluppo di una città. Dalle diverse indagini effettuate dalla magistratura, infatti, si evince come i clan siano sempre più connessi e intrecciati con la finanza, l’imprenditoria, la politica. È a tutti gli effetti un male che si muove oggi in un silenzio che è assordante, perché la politica ha smesso di mettere la questione del contrasto delle mafie tra le sue priorità.

Ciò malgrado la criminalità organizzata si espande e cresce in tutto il Paese, perfino in comunità remote e da sempre ritenute immuni (è il caso degli ultimi giorni che ha colpito Aosta). Ecco perché non bisognerebbe mai abbassare la soglia d’attenzione e, invece di lasciarsi andare a slogan sensazionali e sciocchi, come promettere di sconfiggere la mafia in pochi mesi, sarebbe molto più utile cominciare seriamente ad occuparsene. Normativamente, politicamente e culturalmente.

Giovanni Dato -ilmegafono.org