Lo scorso 8 dicembre un disastro ecologico si è abbattuto sulle coste della Galizia, nel nord-ovest della Spagna: milioni di granuli di plastica (pellet) si sono riversati in mare e hanno raggiunto le spiagge, trasportati dalle correnti dell’Atlantico. Una nave, la Toconao (Maersk), ha perso infatti sei container in acque portoghesi, tra cui uno che conteneva sacchi da 25 kg di pellet di plastica di proprietà della società Bedeko Europe. Le forti correnti della zona al largo di Viana do Castelo, dove è avvenuto l’incidente, hanno trasportato poi questi sacchi verso le coste galiziane. Secondo quanto riferito da Greenpeace, il 13 dicembre i primi sacchi hanno cominciato a invadere le rive del Complesso delle Dune di Corrubedo, a Ribeira, e in altri punti dell’estuario di Muros-Noia, in Galizia. Nei giorni successivi, sempre più consigli comunali e organizzazioni ecologiste e ambientaliste hanno iniziato a richiamare l’attenzione sull’accaduto.

Solo il 4 gennaio è arrivata la conferma dell’entità di questo disastro ecologico, quando l’avvocato della Bedeko Europe ha dato una stima del contenuto del container: un migliaio di sacchi di pellet. Equivalenti a 25.000 kg di granuli di plastica, una quantità in grado di inquinare tutta la costa della regione spagnola. La giunta galiziana ha attivato un piano d’emergenza per trovare una soluzione, ma non è ancora chiaro come si procederà a raccogliere questa grande quantità di plastica potenzialmente tossica. È una situazione gravissima per la Galizia, ma l’inquinamento da pellet, e in generale da plastiche e microplastiche, è un’emergenza globale, dato che ad esso sono legati una serie di effetti negativi sugli organismi viventi.

I granuli derivano dalla raffinazione dei più comuni idrocarburi come petrolio e gas fossile. Nella sola Unione Europea si stima che, ogni anno, oltre 160 mila tonnellate di pellet di plastica vengano scaricate nell’ambiente (equivalenti al peso di circa 20 torri Eiffel), scrive Greenpeace. Un problema comune anche alle aree costiere su cui insistono impianti petrolchimici. Quello dei granuli è comunque solo una minima parte del problema: se consideriamo tutte le tipologie di plastica, la quantità che finisce negli oceani può raggiungere 12 milioni di tonnellate.

È per questo che Greenpeace ed altre associazioni ambientaliste, come il WWF, chiedono da tempo l’approvazione di un trattato globale sulla plastica, legalmente vincolante con regole comuni in tutto il mondo, che ne riduca drasticamente la produzione. Secondo gli esperti, sarebbe necessario ridurre la produzione di plastica almeno del 75% entro il 2040. È solo attraverso il rispetto di regole ambiziose che si potrà mettere fine a una produzione smodata di plastica, proteggendo così il nostro clima, la nostra biodiversità e la nostra salute.

Redazione -ilmegafono.org