Il 19 luglio ricorrerà il 28esimo anniversario della strage di via D’Amelio in cui vennero uccisi il magistrato Paolo Borsellino e i membri della scorta Emanuela Loi, Claudio Traina, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli e Agostino Catalano, a causa dell’esplosione di un’autobomba posta davanti a casa della madre del giudice. Questo terribile attentato fu architettato a soli 57 giorni dalla strage di Capaci dove furono assassinati Giovanni Falcone, sua moglie Francesca e tre agenti della scorta. Due stragi fortemente intrecciate e collegate, dietro le quali sembrava esserci esclusivamente cosa nostra, resa vulnerabile dalle eroiche gesta di questi due giudici che hanno cambiato per sempre la percezione del concetto di mafia in questo Paese.

L’ombra di cosa nostra si è protratta anche nell’accertamento delle responsabilità dell’attentato. Nel corso degli anni, infatti, ci sono stati numerosi depistaggi che hanno portato al susseguirsi di altrettanti processi. Tuttavia, per molti, sin da subito era chiaro che due stragi di tale portata e con una tale organizzazione dietro non potevano essere solo opera delle mafie. Era evidente che nulla si sarebbe potuto realizzare senza la rete di complicità e di coinvolgimenti di pezzi dello Stato. Dai processi e in particolare dal processo “Borsellino quater”, ancora in corso, la percezione che non ci fosse solo la criminalità organizzata dietro la strage è diventata una certezza.

Nino Di Matteo, ascoltato nel febbraio di quest’anno dai PM, ha dichiarato senza mezzi termini: “non credo sia stata solo cosa nostra”. A quanto pare, sebbene molti dei mandanti nel corso dei tre processi precedenti siano stati accertati e assicurati alla giustizia, a quasi 30 anni dalla strage di via D’Amelio non sappiamo ancora quanto profonde e oscure siano state anche le responsabilità dello Stato in una vicenda che è coincisa con un periodo di profondo cambiamento anche del panorama politico italiano, i cui contatti con la mafia sono stati ampiamente dimostrati nel corso degli anni successivi. Una realtà che Paolo Borsellino conosceva molto bene e che commentava così: “Politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d’accordo”.

Oggi la memoria di Paolo Borsellino e Giovanni Falcone va onorata come meritano, non con la sterile commemorazione ma sicuramente dando loro giustizia e accertando tutti i colpevoli. Ancora di più. però, possiamo onorarli facendo esercizio quotidiano di memoria, dando vita a quelle che erano le speranze e le idee di questi due grandi uomini che hanno dato lustro al nostro Paese e hanno combattuto per renderlo migliore. La responsabilità di tutti noi cittadini che esercitiamo il nostro diritto di voto e controllo è quella di far sì che la politica scelga sempre la strada della guerra nei confronti delle associazioni criminali e mai quella dell’accordo. Per combattere un sistema corrotto bisogna però riprendere il cammino e costruire un sistema di cittadinanza attiva che si basi sui principi di giustizia e legalità.

Vivere ognuno di noi in maniera legale ci dà il diritto di pretendere giustizia anche da parte delle istituzioni. Dobbiamo finalmente accogliere il concetto primordiale che la lotta alla criminalità organizzata passa dalle nostre singole scelte quotidiane. La forza dei grandi è quella di essere in grado di abbattere il tempo, diventando eterni grazie alle proprie idee. Falcone e Borsellino erano grandi ed è per questo che il loro insegnamento è rimasto vivo, e anche se la realtà è che ci circonda è diversa da quella di 30 anni fa, lo spirito delle loro idee continua a guidarci anche perché la battaglia alla criminalità organizzata è un tema ancora tristemente attuale e, purtroppo, poco considerato dalla politica nel suo insieme. Se l’impegno sarà di tutti non ci saranno più martiri. Non vogliamo più eroi, vogliamo solo giustizia e verità.

Vincenzo Verde -ilmegafono.org