Sono trascorsi trentaquattro anni e l’omicidio di Vincenzo Grasso, imprenditore calabrese, resta ancora un mistero irrisolto per la giustizia italiana. Neppure il passare del tempo ha permesso a chi di dovere di scoprire i mandanti e, soprattutto, gli esecutori di un delitto dai più dimenticato, ma non ovviamente dalla famiglia, né da chi la lotta alla mafia la persegue giorno dopo giorno. Vincenzo Grasso era un imprenditore della Locride che aveva deciso di aprire un’officina meccanica per la riparazione di motori marini e non solo. Una scelta difficile, rischiosissima, soprattutto se consideriamo la pericolosità di quel lembo di terra oppressa dal potere delle ‘ndrine. Peraltro in un’epoca molto dura, quella degli anni ‘80: un’epoca in cui la consapevolezza antimafiosa, nonché sociale e culturale di buona parte del popolo, non aveva ancora raggiunto i livelli che, purtroppo, con il sacrificio di tanti, avrebbe poi raggiunto.

A differenza di tanti conterranei, insomma, Vincenzo non solo aveva deciso di restare nella propria terra e viverci, ma addirittura di aprire un’attività in totale autonomia e senza alcun aiuto da parte dei “padroni” del posto. Una scelta che lo ha praticamente condannato a morte. Nel 1982, infatti, arriva la prima richiesta a Vincenzo, il primo caso di racket e vero proprio. Una richiesta prontamente rifiutata, così come quelle dei successivi sette anni. Le richieste, poi, diventano minacce, via via sempre più pressanti e più dirette, fino ad arrivare alle telefonate e alle minacce di morte nei suoi confronti e nei confronti della propria famiglia. Proprio in quelle occasioni l’uomo decide di rivolgersi agli inquirenti, rivelando ogni minimo particolare e offrendo la più totale collaborazione alle indagini.

Indagini che, puntualmente, si tramutano in un nulla di fatto, dato che, secondo quanto riportato dalle cronache del tempo, sembra fosse impossibile riuscire a raggiungere sia i mandanti che gli esecutori di quelle continue minacce. Ad ogni modo, che dietro le intimidazioni ci fosse la ‘ndrangheta era cosa risaputa: ma come è possibile, quindi, che non si sia mai arrivati al dunque? Probabilmente la stessa domanda se la sarà fatta anche Vincenzo, il quale, la sera del 20 marzo 1989, viene colpito a morte da due killer armati di pistola e a bordo di un’auto. Da quel momento inizia un nuovo calvario per la famiglia Grasso: il calvario della ricerca della verità, una verità negata dopo soltanto 6 mesi di indagini archiviate in fretta e furia. Proprio così: se in vita, gli sforzi di Vincenzo non erano stati sufficienti a salvaguardare se stesso o la sua famiglia, neppure da morto si è riusciti quantomeno a restituirgli giustizia. 

Ed è proprio questa mancanza di volontà, questa superficialità ingiustificata e ingiustificabile che causa rabbia, tristezza e delusione da parte di una famiglia che si è ritrovata a pezzi, impreparata e soprattutto sola, in un’epoca in cui la lotta al racket e gli strumenti necessari erano ancora agli albori e dunque insufficienti. A distanza di trentaquattro anni, però, l’omicidio di Vincenzo Grasso è ancora privo di mandanti ed esecutori. Privo di qualsiasi forma di giustizia che possa punire chi ha spento la vita di un uomo coraggioso e pieno di dignità. Si sente spesso parlare di vittime di mafia eccellenti le cui vicende sono entrate nella conoscenza dell’opinione pubblica.

Ma la lotta alla mafia è fatta anche da persone come Vincenzo Grasso, che hanno combattuto nella speranza di un Paese migliore, libero dal giogo mafioso. Persone che molti non conoscono e che non hanno mai ottenuto giustizia e che abbiamo l’obbligo di non dimenticare. Persone che vanno ricordate e onorate non in quanto eroi, ma in quanto semplici esseri umani dotati di una forza, un coraggio e una lealtà che ogni singolo cittadino dovrebbe conoscere custodendone l’esempio. Solo provano a ricordare le vicende di persone come Vincenzo Grasso, infatti, possiamo evitare che il loro sacrificio non sia vano. Ci auguriamo che questa storia non rimanga chiusa nel dolore della famiglia e nell’attenzione di quelle associazioni che si battono per la memoria. Auspichiamo che, prima o poi, sull’omicidio Grasso venga fatta chiarezza e che tutti possano conoscere la verità. Perché non è mai troppo tardi per restituire giustizia. Soprattutto in un Paese che ne ha lasciata molta per strada.

Giovanni Dato -ilmegafono.org