È successo nuovamente e purtroppo accadrà ancora. Con lo stesso copione. Un’imbarcazione in difficoltà, con a bordo centinaia di persone che tentano o ritentano di approdare in Europa in cerca di una opportunità di salvezza e di vita. Le autorità che ignorano le richieste di soccorso, non intervengono, si rimpallano le responsabilità o agiscono troppo tardi. I morti, i corpi portati sulle banchine di porti che diventano, all’improvviso, tristi luoghi della storia. I dispersi, che poi altro non sono che morti certe, corpi e vite che, in gran parte, rimarranno sepolti negli abissi del Mediterraneo, condannati dalla ferocia e dall’ipocrisia dell’Europa e dall’avido orrore del traffico di esseri umani. 650 persone, questa volta, uno dei più grandi naufragi avvenuti alle porte del nostro continente. Un numero che si aggiunge ad altri numeri, perché è questo che sono ormai i migranti secondo la visione della politica europea. Sono solo numeri, sia quando si tratta di pesarne il destino tragico, sia quando si tratta di scegliere se consentirne l’ingresso nel proprio territorio. Numeri, o al massimo forza lavoro, la cui utilità o meno al sistema che nutre il benessere degli Stati diventa decisiva per l’accoglienza.

Nelle acque dell’Egeo, a Pylos, è stato scritto l’ennesimo capitolo del libro degli orrori, rispetto al quale è già partita la guerra delle responsabilità, di chi nega, dei video che smentiscono le bugie, di chi poteva intervenire, con il mare calmo e dunque in sicurezza, e non lo ha fatto. Si discute sulle dinamiche, “volevano andare in Italia”, “hanno rifiutato il soccorso”, “si stavano muovendo”, “no non è vero”, “erano fermi e in attesa di essere salvati”: parole, tantissime parole, che però non risolvono la questione più importante. Non risolvono il fatto, cioè, che nel Mediterraneo si continua a morire per colpa del traffico di esseri umani e di un’Europa complice, sempre più chiusa, sempre meno disposta ad accogliere, drogata dalla propaganda sovranista e dall’inerzia complice di chi dovrebbe opporsi e invece non lo fa, anzi, ne ricopia le linee, le idee e, addirittura, suggerisce le azioni. La logica della cittadella fortezza, del luogo che non può e non deve accogliere tutti, il peso politico dei numeri e la fierezza di chi sbandiera respingimenti e meno arrivi, sono elementi che, in forme più o meno evidenti, accomunano tutte le forze che popolano la politica europea.

La ferocia si attenua solo per qualche giorno e solo per forma, quando avvengono fatti come questi. Che qualcuno continua a definire tragedie, come se fossero incidenti e non invece ciò che realmente sono, ossia stragi, con colpevolezze diffuse. Dovremmo iniziare dal linguaggio, per evitare di concedere ai carnefici l’opportunità di comportarsi come prefiche. Perché non è proprio possibile ascoltare i lamenti di chi sta portando avanti un piano che, di fatto, cancella il diritto d’asilo e promuove i respingimenti in nazioni che non sono sicure realmente ma solo perché hanno siglato lauti accordi economici con chi respinge. Non è possibile sentire la politica europea mostrare cordoglio, così come non è accettabile il lutto nazionale proclamato dalla Grecia, perché quei morti pesano anche sulla loro coscienza ed è ipocritamente orrido che chi ha provocato quella ed altre stragi oggi versi spudoratamente finte lacrime di dolore.

Non è possibile cancellare in un attimo le proprie responsabilità, perché tra quelle persone a bordo c’era anche chi era al secondo tentativo, dopo essere stato respinto dalle autorità poste a tutela dell’egoismo europeo. Non è possibile nemmeno mostrare dolore per la presenza di 100 bambini, stipati nella stiva divenuta la loro infernale tomba liquida. I bambini muoiono sempre durante i naufragi, sono i soggetti più a rischio durante ogni viaggio, sono gli stessi bambini ai quali le autorità europee, greche, italiane sbattono la porta in faccia, più e più volte, in mare e in terra, con le loro leggi e le loro azioni disumane. No, non serve adesso struggersi, non servono le parole, anzi le parole sono finite, al punto che è difficile ogni volta commentare quello che accade e che è sempre drammaticamente ripetitivo. Ciò che invece è cambiato è la risposta delle persone, o meglio l’attenzione dell’opinione pubblica. La coscienza civile, in buona parte, si è spenta e allo stesso modo sono sempre meno forti le voci di chi si batte ogni giorno sul tema delle migrazioni e dell’accoglienza.

Sembra che ci sia quasi un’assuefazione a queste stragi, come se l’impotenza abbia preso il sopravvento di fronte a un fenomeno che dura da anni e che la politica tratta indebitamente come un’emergenza, solo per partorire misure che colpiscono le vittime e mai i carnefici. Siamo infatti nell’epoca in cui, per combattere un traffico criminale, si scrivono leggi che puniscono chi è vittima di quel traffico, le persone respinte, costrette a rimanere per anni tra le grinfie degli aguzzini e dei loro complici. Un po’ come, se per combattere il racket delle estorsioni, si scrivessero leggi finalizzate a punire coloro che denunciano, comunicandone l’identità e perfino accompagnandoli dai loro estortori, ai quali verrebbe affidato poi il compito di “gestirli”. Il principio è identico e le leggi che l’Europa sembra voler scrivere (l’Italia lo ha già fatto) hanno la stessa assurda logica. Allo stesso modo, è la logica che anima le comuni prese di posizione, come le convergenze tra Italia e Francia, che parlano di “difesa dei confini e delle frontiere” e non di accoglienza o lotta al traffico di esseri umani,

La politica (europea e italiana) ha un solo obiettivo: colpire chi fugge, colpire chi spera, colpire chi non reagisce ai soprusi perché non ne ha la forza e perché l’unica cosa che resta è la speranza di farcela. Colpire e poi, qualora si verificasse l’effetto più tragico, fingere costernazione. Ma nemmeno troppo, perché alla fine in tanti, davanti all’ultima strage, hanno evitato le frasi di circostanza, hanno scelto l’indifferenza e il silenzio. Con l’approvazione dei loro mostruosi elettori. Fino alla prossima volta, fino alla prossima strage che, per qualche ora, farà notizia, per poi sparire nel calderone dell’informazione, tra le pagine dell’agenda dettata da chi detiene il potere. Relegata nuovamente negli abissi di una memoria drammaticamente e pericolosamente fragile.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org