Nelle ultime settimane è diventato virale un video raccolto dalle telecamere di sorveglianza del carcere “Francesco Uccella” di Santa Maria Capua Vetere. Le immagini risalgono al 6 aprile 2020 e mostrano in sequenza vari momenti di violenza pura perpetrata attraverso calci, pugni e manganellate da parte di alcuni agenti della polizia penitenziaria nei confronti di detenuti, disarmati e apparentemente inoffensivi. A una prima vista del video ciò che sconvolge è effettivamente la gratuità del gesto. Per cercare di capire cosa abbia portato a questa violenza, tanto efferata quanto insensata, occorre riavvolgere il nastro fino alla scorsa primavera. L’inefficienza e l’impreparazione del nostro Paese ad affrontare il Covid-19 aveva coinvolto anche le carceri, dove c’erano state varie ribellioni causate dall’incertezza delle notizie e dalla mancanza delle condizioni di sicurezza per evitare il contagio all’interno dei penitenziari.

Tra le varie strutture di detenzione coinvolte ci fu anche quella campana, dove i detenuti del reparto Nilo manifestarono pacificamente rifiutandosi di rientrare nelle celle dopo l’ora di socialità, al fine di ottenere tamponi e mascherine. La situazione fu inizialmente sedata con calma, garantendo ai reclusi che si sarebbe ottemperato alle richieste fatte. Il giorno successivo però l’aria è cambiata ed è arrivato l’ordine di perquisizione. Da lì è cominciato l’inferno vero e proprio, perché una perquisizione con le squadre antisommossa non si era mai vista. Secondo la ricostruzione dei fatti, i detenuti dovevano spostarsi dalla propria cella all’area di socialità, percorrendo un corridoio dove stavano stipati sui lati decine di agenti che li colpivano ripetutamente in venti contro uno.

In alcuni casi si è toccato l’estremo della tortura, con detenuti a cui è stata strappata la barba oppure lasciati in isolamento per giorni tra gli stracci dei propri vestiti e il sangue. Altri racconti e altre testimonianze, intanto, stanno venendo fuori e parlano di barbarie inaudite compiute dentro il carcere campano, incluse violenze a sfondo sessuale e atti contro la dignità umana.

La reazione della magistratura, che aveva già aperto una inchiesta, è stata repentina, con 77 provvedimenti emessi in due tranche, tra misure di custodia cautelare e sospensioni. Tutti i responsabili di questa vomitevole mattanza sono finiti sul banco degli imputati e il garante campano dei detenuti Samuele Ciambriello ha fatto sapere che la magistratura è in possesso di immagini addirittura più cruente di quelle che sono state diffuse dai giornali negli ultimi giorni.

Sono quasi 80 le persone coinvolte, senza contare le istituzioni, e forse nei prossimi giorni saranno anche di più. Un vero e proprio sistema punitivo messo in atto con la piena omertà di chi non ha partecipato alla mattanza e che oggi si dissocia, ma che per mesi è rimasto in silenzio. Sorgono spontanee parecchie domande. Com’è possibile che sia passato un anno dal momento dell’aggressione alle misure di custodia, una volta appurata la violenza e la pericolosità dei soggetti coinvolti? Come mai le denunce presentate dai familiari e dalle stesse vittime sono state ignorate fino ad oggi? Perché il trasferimento dei detenuti è avvenuto negli ultimi giorni e non prima? Possibile che quanto successo al carcere di Santa Maria Capua Vetere si sia ripetuto e taciuto in altre strutture detentive?

Probabilmente i nuovi sviluppi di questa vicenda forniranno risposte a parte di queste domande. Intanto sul caso si è esposta anche la Comunità Europea, con il portavoce Christian Wiegand che ha ribadito che “non c’è posto per la violenza in Europa”, invitando le autorità italiane a svolgere un’indagine “indipendente e approfondita”. Una richiesta che dovrebbe essere scontata, ma che forse non lo è poi così tanto.

Vincenzo Verde -ilmegafono.org