Ilaria Salis, antifascista. È un’insegnante di scuola elementare a Monza, ha 39 anni ed è detenuta in carcere a Budapest dall’11 febbraio 2023, con l’accusa di lesioni aggravate nei confronti di alcuni manifestanti neonazisti. I fatti risalgono al corteo per la commemorazione della “Giornata dell’Onore” che si tiene il 13 febbraio di ogni anno nella capitale ungherese, per celebrare il battaglione che nel dicembre del 1944 si oppose all’assedio di Budapest da parte dell’esercito sovietico. Per i nostalgici neonazisti che si danno appuntamento a Budapest per quel giorno, e che arrivano non solo da ogni parte dell’Ungheria ma anche da altri Paesi europei, l’onore da celebrare è quello. Ilaria è accusata di aver preso parte agli scontri avvenuti durante il corteo e di aver aggredito due manifestanti, sulla base di un filmato che mostra un gruppo di persone a volto coperto (e quindi non riconoscibili) che colpiscono due attivisti di estrema destra con dei manganelli. Le persone aggredite, le cui ferite sono state giudicate guaribili in pochi giorni, non avrebbero nemmeno sporto denuncia.

Il suo arresto non è avvenuto in flagranza ma dopo molte ore, quando era su un taxi. I suoi avvocati affermano di non aver mai avuto accesso a queste prove filmate. Eppure, per lei l’accusa chiede una pena minima di undici anni di carcere che possono diventare molti di più: otto anni per lesioni personali, otto per appartenenza a una organizzazione internazionale. Per la legge ungherese si tratta di due reati cumulabili e questo consente di aggiungere ad ognuno dei due reati un ulteriore cinquanta per cento della pena. Il rischio è un totale di 24 anni. Un anno è lungo e Ilaria questo anno lo ha passato in una galera di Budapest in condizioni umilianti. Il silenzio sulla sua condizione e sul trattamento a lei riservato in carcere è durato all’infinito ed è stato rotto solo grazie alla lettera scritta al suo avvocato, il 2 ottobre scorso, e che è stata resa pubblica.

A squarciare il velo di omertà e silenzio su questa storia è però il filmato della sua udienza in tribunale, la prima dal giorno del suo arresto: Ilaria è incatenata e tenuta al guinzaglio da gendarmi a volto coperto. Dietro quel velo finalmente strappato emergono verità delle quali sono in tanti a doversi vergognare: in Ungheria, in Europa e in Italia. Nel corso degli anni, Viktor Orbán ha costruito il suo potere ignorando ogni sfumatura del “diritto”, fino a diventare l’autentico sovrano di quella che lui stesso ha definito come una “democrazia illiberale”. Ha sempre individuato un nemico da perseguitare: i socialisti, i migranti, la lobby lgbtq, i rom, l’Unione Europea. Oggi il pugno di ferro di Orbán è un esempio ammirato da tutti i partiti e i leader dell’estrema destra europea, anche per quelle modifiche costituzionali con cui, nel 2011, Orbán ha ridotto ai minimi termini le libertà individuali, di espressione e di stampa. Fra gli amici di Orbán ci sono anche il governo italiano e la sua premier, Giorgia Meloni. Non bisogna farsi trarre in inganno da alcune prese di distanza su due questioni particolari, il sostegno all’Ucraina e il Patto europeo per l’immigrazione, presto minimizzate e ricucite.

L’immagine delle catene in un’aula di tribunale diventa allora un messaggio inequivocabile che Orbán decide di inviare alle destre, in Italia e in Europa, l’immagine di un modello da seguire. È un messaggio che in Italia è stato subito recepito da Matteo Salvini, che non è solo il leader di un partito razzista e xenofobo come la Lega: Salvini è anche ministro e vicepresidente del Consiglio nel governo guidato da Giorgia Meloni ed è anche l’esponente di spicco di “Identità e Democrazia”, il gruppo politico sovranista di estrema destra del Parlamento europeo, che abbraccia l’estrema destra francese di Marine Le Pen e quella tedesca di Alternative fur Deutschland. È Matteo Salvini che, in perfetta coerenza con il suo credo politico e il suo stile umano, si assume per primo il compito di gettare fango sull’immagine di Ilaria Salis: “Ilaria Salis è stata bloccata con un manganello e in compagnia di un estremista. In caso di condanna per violenze, a mio modo di vedere, l’opportunità che entri in classe per educare e crescere bambini è nulla…È assurdo che questa Salis in Italia faccia la maestra”.

Ma non basta ancora: la crociata contro Ilaria prosegue con le accuse rilanciate dal partito di Salvini, che coinvolgono Ilaria Salis nell’aggressione a militanti della Lega e nella distruzione di un gazebo avvenuta a Monza nel 2017. Matteo Salvini finge di non sapere che per quell’episodio Ilaria è stata assolta per non aver commesso il fatto e finge anche di non ricordare che lui, come ministro della Repubblica, è attualmente sotto processo a Palermo per il reato di sequestro di persona. Ma questo per Salvini non ha importanza, il fango è partito ed è proprio contro questo fango lanciato sulla figlia che il padre di Ilaria decide di querelare Matteo Salvini per diffamazione.

All’arroganza volgare di Matteo Salvini il governo contrappone l’ipocrisia di una finta diplomazia che si nasconde dietro parole di fredda banalità: il ministro della giustizia, Carlo Nordio, in un’intervista al Corriere della Sera, dichiara che i genitori della ragazza in carcere a Budapest “non sono mai stati lasciati soli. Il padre l’ho incontrato due volte e ci siamo mossi con doverosa sollecitudine, appena ci è stato prospettato il problema. Ma il nostro intervento ha un limite invalicabile: la sovranità della giurisdizione straniera […] L’unica cosa che possiamo fare e stiamo facendo è assicurarci che vengano rispettate le regole umanitarie ed europee sulla detenzione […] lo Stato ha fatto il possibile, anche di più. Abbiamo oltre duemila cittadini in carceri straniere e per ciascuno ci attiviamo, nei limiti di norma”.

Sul dramma di Ilaria non deve stupire il lungo silenzio di Giorgia Meloni. Ha lasciato che a parlare fossero i suoi ministri, lei si è riservata il sipario finale all’ultimo vertice di Bruxelles dove, nell’incontro bilaterale con Viktor Orbán lui le ha raccontato la sua verità: “Ho raccontato il caso nei dettagli. Le ho detto che la magistratura non dipende dal governo, ma dal Parlamento. L’unica cosa che sono legittimato a fare è fornire i dettagli del suo trattamento in carcere ed esercitare un’influenza perché abbia un equo trattamento. Tutti i diritti saranno garantiti”. Giorgia Meloni ha ribadito che “certo, le immagini di Ilaria Salis in manette impattano, ma accade in diversi Paesi, anche occidentali […] Ho chiesto che all’insegnante di Monza venga riservato un trattamento di dignità e un giusto processo nel rispetto dell’autonomia dei giudici. Né io né Orbán possiamo entrare oggi nel giudizio che compete alla magistratura, posso solo sperare che Ilaria Salis sia in grado di dimostrare la sua innocenza in un processo veloce”.

Giorgia Meloni ha dimenticato quando lei stessa pronunciava parole di fuoco per riportare in Italia i due marò trattenuti in India per omicidio, e chiedeva ufficialmente “spiegazioni al governo italiano su quella che sarebbe una vergognosa e inaccettabile sottomissione alle autorità indiane”. Il destino e il futuro di Ilaria Salis sono dunque affidati alle mani di una “magistratura indipendente” in un Paese che il suo stesso capo definisce una “democrazia illiberale” e dove è lui a controllare tutto. In Italia resta la solitudine di un padre che lotta contro i mulini a vento e si sente abbandonatoIl governo italiano per voce dei suoi ministri Tajani e Nordio sceglie di non fare ulteriori passi ufficiali. Lo Stato butta le chiavi del suo armadio della vergogna e abbandona le famiglie al proprio destino, che si arrangino da sole a cercare giustizia.

È già accaduto in passato, e lo sanno bene le famiglie di Giuseppe Pinelli, Carlo Giuliani, Stefano Cucchi, Federico Aldrovandi, Giulio Regeni…e tanti altri ancora, così tanti che diventa impossibile elencarli tutti. Lo Stato ha sempre altre priorità e oggi è il momento dell’inchino fra leader che hanno un progetto comune, con molte possibilità di concretizzarsi in un’Europa a loro immagine, e non può essere un piccolo incidente della storia a impedire quell’inchino. E quell’insegnante antifascista, esibita in catene come un mostro pericoloso, non può diventare quel piccolo incidente su cui la solida amicizia fra Giorgia Meloni e Viktor Orbán può inciampare. È la “democrazia illiberale” che lo chiede.

Maurizio Anelli -ilmegafono.org