La corsa elettorale, le elezioni da fare e le elezioni già fatte, piccole, locali, con i propri verdetti. La Sicilia ha votato per il rinnovo di alcune amministrazioni e il dato che emerge è il costante calo dei 5 Stelle, la crescita del centrodestra, una lentissima ripresa del Pd (autore, a Gela e Bagheria, di una perversa alleanza con Fi) e una Lega che non sfonda come qualcuno pensava. I leghisti, infatti, esprimono un solo sindaco e partecipano ad alcuni ballottaggi, ma il tanto temuto ciclone Salvini si è rivelato un leggero venticello. Certo si tratta di un test abbastanza piccolo, ma la Sicilia dà spesso qualche indicazione interessante. Intanto i palchi per i comizi rimangono montati, perché adesso c’è la campagna elettorale per le prossime europee, che di indicazioni ne daranno molte e più significative.

Le piazze tornano a essere il luogo delle parole e delle promesse, di incontro, di applausi e contestazioni. A volte però le piazze sono impietose, mostrando tutta la inconsistenza di una politica che da tempo ormai sceglie il virtuale, il social, la comunicazione che appare diretta e in realtà è mediata, fasulla, priva di contenuti reali. E nelle piazze le false verità sono troppo nude e poco rapide per essere efficaci. Così le piazze possono diventare crudeli e dare un segnale preciso. Quando? Quando non sono partecipate, quando rimangono semivuote.

Torino, aprile 2019. Nell’era della sbornia mediatica salviniana, il comizio del capo della Lega è un flop. Sabato sera, piazza Carlo Alberto, nel cuore del capoluogo piemontese. In Piemonte si voterà anche per il rinnovo della Regione. C’è Salvini e ad ascoltarlo ci sono appena mille persone. Contestatori inclusi. Malgrado le faine dello staff di comunicazione del ministro provino a camuffare la piazza, scattando foto da angolazioni che suggeriscono un bagno di folla (nel pieno e vecchio stile della propaganda), la realtà è spietata. Le foto della piazza fatte dai fotografi e diffuse sui quotidiani sono chiare: c’è pochissima gente. Eppure è sabato sera e il centro pullula di persone. Alla fine i leghisti devono ammetterlo e ci scherzano su, parlando della concorrenza di Inter-Juve (partita interessante certo ma senza alcun valore di classifica) o di qualche trasmissione tv.

In verità, quella piazza è un piccolo indizio di come l’effetto Salvini vacilli un po’. Sia chiaro, non è una piazza vuota a decretare di per sé la fine di un consenso che rimane comunque il più alto nei sondaggi, per quanto anche quelli ultimamente registrano un certo calo. Però le assenze non sono mai silenziose o casuali, in qualche modo fanno rumore. C’è un po’ di stanchezza, forse anche fisiologica, dovuta alla sovraesposizione del ministro, a quel solito vizio di megalomania che all’inizio funziona e poi, pian piano, rischia di trasformarsi in un boomerang. Ci sono passati anche altri, da Berlusconi a Renzi. Per certi versi ci è passato anche Grillo con i suoi figliocci politici. Ci passerà anche Salvini.  Forse il suo linguaggio aggressivo e vuoto, ripetitivo, basato sullo slogan, privo di risposte a tematiche concrete e urgenti così come alle questioni imbarazzanti che riguardano la Lega e le magagne presunte dei suoi esponenti, comincia a cozzare troppo con una situazione economica pesante, con l’incapacità di cambiare ciò che veramente poi serve al Paese.

Gli italiani sono un popolo volubile, conquistarli è facile, ma deluderli è un attimo. Magari qualcuno comincia a capire il bluff, si accorge che se il Paese non cresce non è colpa dei migranti e che non è con la legittima difesa che si risolvono i problemi del lavoro, della sanità, della burocrazia. Il caso Siri poi segna un punto di non ritorno per l’alleanza di governo. Fingono di litigare, questo è evidente, ma di certo la questione del sottosegretario è più delicata per i 5 Stelle che, a dispetto della ostentata sicurezza, temono il tracollo alle urne. Pertanto, bisognerà al più presto la vicenda Siri, perché per Di Maio e i suoi, da mesi servili nei confronti del leader di minoranza divenuto in meno di un anno la guida de facto del governo, la sola discussione sul caso, al di là delle indagini su Siri, significa sentirsi giustamente rinfacciare che un uomo che ha patteggiato una condanna per bancarotta fraudolenta non avrebbe mai dovuto essere sottosegretario di un governo a guida 5 Stelle.

E gli argomenti a difesa della scelta (“la Lega ha presentato i suoi e noi i nostri”) è molto debole e anche molto paracula. Ecco perché i 5 Stelle non possono salvare Siri perché, dopo aver salvato Salvini sul caso Diciotti, con la scusa ridicola della tutela dell’azione politica condivisa, farlo significherebbe uno dei principi sui quali si è fondata non la loro vittoria elettorale ma la loro stessa genesi politica. Salvando Siri, i 5 Stelle perderebbero la faccia. E a quel punto i presunti litigi, le tensioni, le contrapposizioni alle quali però poi seguono scelte politiche condivise (e vergognose), non conterebbero più. Le piazze sarebbero vuote per tutti.

Perché mentre va in scena questa pantomima dei litigi che congelerà il Paese fino alle elezioni di fine maggio, l’economia produce i suoi effetti e prima o poi gli italiani, indipendentemente dalle valutazioni schizofreniche dell’Istat, si faranno i conti in tasca, vivranno gli effetti di un modo di governare basato su misure che non risolvono nulla in un contesto di stagnazione, di scarsa competitività, di diritti negati, disoccupazione, evasione e lavoro sommerso. E quando gli italiani fanno i conti in tasca e trovano solo le monetine, ci mettono pochi secondi a prenderle in mano e tirarle addosso a chi, fino a un minuto prima, osannavano come un dio in terra. Magari inizieranno anche a rinfacciargli i milioni di euro sottratti ai contribuenti.

Le bandiere del consenso, in questo Paese, soprattutto in un contesto liquido e non ideologico come l’attuale, sono pronte a cambiare in poco tempo. E non lo dice solo una piazza vuota, ma la storia di questi ultimi anni, dove chi ha sventolato cifre plebiscitarie si è trovato travolto da quelle stesse cifre. E ha continuato a vivere nel ricordo ipnotico e alienante di un’epoca fortunata che poi, alla fine, difficilmente ritorna.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org