Lo scorso autunno, l’associazione “Mi Riconosci? Sono un professionista dei Beni Culturali” ha lanciato una call aperta a tutti per censire e mappare tutte le statue e i monumenti pubblici dedicati alle donne nel nostro Paese (clicca qui). A Padova, esiste la famosa piazza Prato della Valle, dove si ergono fiere le statue di 78 uomini illustri e di una sola donna, la poetessa Gaspara Stampa, posta però ai piedi dello scultore Andrea Borisco, mentre due pilastri sono rimasti vuoti dopo la rimozione delle figure di un Doge e un Colonnello veneti complici delle occupazioni Napoleoniche. I consiglieri comunali Margherita Colonnello e Simone Pillittieri presentano allora una mozione per aggiungere in uno dei due pilastri vuoti della piazza la figura di Elena Lucrezia Cornaro Piscopia, la prima donna al mondo a conseguire una laurea, nel 1678 nella prestigiosa Università di Padova. La proposta è finalizzata ad omaggiare il coraggio, la tenacia e la forza di una donna che sfidò e abbatté qualunque convenzione.

Così, a Padova, come di consueto ormai nell’era social, scoppia la polemica. Chi parla di “Cancel Culture”, senza capire di cosa si stia parlando, dato che letteralmente significa la “cultura dell’eliminazione” ed in questo caso non si vuole eliminare nulla, ma aggiungere qualcosa ad uno spazio vuoto. C’è chi accusa i proponenti di voler giocare con le statue come fossero Lego, come dichiara il professor Carlo Fumian, docente di Storia contemporanea dell’università di Padova. C’è chi, come il critico d’arte Vittorio Sgarbi, dice che una statua per questa donna c’è già nel cortile di Palazzo Bo e che sarebbe meglio aiutare i visitatori a raggiungere questa location invece di inveire sulla storia.

La verità è che in questo Paese l’unica cultura accettata è quella dell’immobilità rinascimentale. Perché se anche esiste un regolamento del 1776 che predispone le condizioni che devono rispettare le statue poste nella piazza (niente figure di santi, niente persone in vita e solo persone che hanno avuto rapporti con la città, quindi nulla che parli di donne), ci si deve appellare sempre a sterili polemiche affinché le cose restino come sono. Per secoli il nostro Paese è stato pioniere di cultura e arte, dando sfogo ed esaltando tutte le innovazioni delle loro contemporaneità, ma la attuale contemporaneità è vista come nemica. Il retaggio culturale ottocentesco che ci trasciniamo da due secoli e che vede l’arte classica e il passato come uniche fonti degne di ammirazione e rilevanza ci sta portando inesorabilmente verso una retrocessione di pensiero collettivo. 

Perché l’arte, si sa, è lo specchio della società. E una società che non accetta il cambiamento storico, il naturale passaggio culturale, attaccando e accusando di voler cancellare e/o stravolgere la storia in un contesto in cui nessuno ha mai minimamente pensato di farlo, presenta i limiti dell’assurdo. Così come, a causa di questo assurdo dibattito, l’Italia è entrata a falcata decisa tra le pagine del The Guardian e del New York Times dove, grazie all’impegno delle volontarie di Mi Riconosci?, internazionalmente si interrogano sulle motivazioni di tanto astio nei confronti di una statua. Mentre in questi giorni, in Inghilterra, è arrivata la sentenza di assoluzione per le quattro persone che nei mesi scorsi, durante le rivolte BLM, hanno abbattuto la statua del colonialista e schiavista Edward Colston poiché “erano troppe le persone che appoggiavano quel gesto, che lo compivano insieme a loro”, in Italia una certa politica conservatrice accusa di Cancel Culture la volontà di riempire uno spazio vuoto di una piazza con la statua di una grande donna che ha cambiato il corso della storia. Il fatto stesso che esista questa polemica ha dell’assurdo.

Viene da chiedersi: perché la cultura contemporanea nel nostro Paese fa così paura? Cosa impedisce al pensiero politico e amministrativo di accettare i cambiamenti culturali della società? Per quale motivo ogni volta che si cerca di affermare culturalmente un sentimento contemporaneo (in questo caso la rappresentanza di una figura femminile a parità d’importanza di 78 uomini) si accusa di voler stravolgere, eliminare, dissacrare la cultura storica? Si rende sempre più evidente il bisogno popolare di vivere in un territorio che lo rappresenti anche nel suo “qui e ora”, e non solo “qui una volta”. Bisogna sforzarsi nel cercare di dare spazio e voce alla cultura dell’oggi, non solo a quella del passato, e bisogna sforzarsi nel capire che facendo ciò nessuno vuole omettere o eliminare pezzi di storia, ma solo aggiungerne altri, chiedendo la stessa rilevanza, in modo tale da poter crescere ed evolvere come società.

Sarah Campisi -ilmegafono.org