“I capitali confiscati devono rimanere sul territorio dove sono stati sottratti alla criminalità, per creare sviluppo come risarcimento sociale per le comunità che di più soffrono l’oppressione violenta delle mafie”. Si tratta di “un obiettivo di giustizia sociale, oltre che di una proposta di buon senso”. È questo l’accorato appello di Giuseppe Falcomatà, sindaco di Reggio Calabria, responsabile nazionale per il Mezzogiorno e la Coesione di Anci. Il sindaco, intervenuto lo scorso venerdì in occasione dell’iniziativa “Restituire bellezza, costruire futuro”, nell’ambito di un progetto legato al PON Legalità 2014-2020, ha voluto porre l’attenzione su uno dei temi più importanti e scottanti che riguardano da vicino la lotta alla criminalità organizzata.

Secondo Falcomatà, confiscare i beni è sicuramente un passo in avanti e un ottimo modo non solo per mostrare la presenza dello Stato, ma soprattutto per arginare lo strapotere mafioso. Bisogna, però, non limitarsi alla sola confisca, ma impegnarsi per fare molto di più. “Dobbiamo fissarci un obiettivo – ha affermato – e dimostrare che la squadra Stato sa essere più efficiente ed efficace delle mafie, non solo sul piano della repressione, ma soprattutto sulla capacità di creare occasioni di sviluppo sociale ed economico sul territorio”. “È ingiusto – ha poi aggiunto nel corso del suo intervento – che i capitali confiscati continuino ad andare in maniera indiscriminata all’interno del Fondo Unico Giustizia”.

Per Falcomatà, invece, sarebbe “utile e necessario che almeno una parte di questi fondi rimanga legata al territorio dove i capitali sono stati confiscati, per ristrutturare gli stessi beni sottratti alla criminalità e per dare un sostegno a quelle realtà che di più soffrono lo strapotere delle imprese mafiose, che drogano il mercato e uccidono lo sviluppo con la violenza e le intimidazioni”. Il primo cittadino di Reggio Calabria si riferisce innanzitutto alla realtà mafiosa che circonda il territorio reggino, dove la confisca dei beni registra da sempre numeri spaventosi. Proprio per questo motivo, diventa di assoluta importanza che i capitali confiscati rimangano nei territori di appartenenza, così da essere sfruttati per risarcire con opportunità economiche e di lavoro le comunità vessate e impoverite dalle mafie stesse. Ed è importante che questi capitali vengano resi disponibili nel minor tempo possibile per un loro impiego sociale e culturale per il bene dell’intera comunità nel cui territorio ricadono.

Il tutto, ovviamente, allo scopo di “creare sviluppo, sostenere le imprese che tornano sul mercato” ed evitare licenziamenti che potrebbero portare ad “un generale impoverimento sociale dei territori”. Si tratta sicuramente di un progetto ambizioso e di difficile attuazione, soprattutto per le pressioni che potrebbero insorgere, oltre che per una burocrazia troppo lenta. Tuttavia, proprio perché gli ostacoli non mancheranno, sarebbe importante prendere in considerazione questa proposta concreta che ha come obiettivo il miglioramento della situazione economica, culturale e sociale di territori nei quali le mafie opprimono l’iniziativa economica, togliendo opportunità soprattutto ai più giovani.

“La strada da fare è ancora tantissima. Insieme ad Anci – ha concluso Falcomatà – abbiamo promosso una riforma del codice antimafia che guardi ad una più efficace gestione dei circuito dei beni confiscati alle mafie e soprattutto ad una diversa ripartizione dei capitali oggetto di confisca”. Per fortuna, però, negli anni sono numerosi i passi in avanti fatti in questa direzione e l’auspicio è che si prosegua uniti e coesi verso l’obiettivo comune, migliorando ciò che ancora non è perfetto. Anche perché, come aveva capito molto bene Pio La Torre circa 40 anni fa, la lotta alla mafia passa soprattutto da qui, dai soldi, dai beni, da queste forme di contrasto che più di tutte irritano gli ambienti criminali. D’altra parte se lo Stato riesce a redistribuire lavoro, opportunità legali e guadagni nei territori che le mafie avevano rapinato con la propria presenza, per le mafie stesse viene meno parte di quel potere che gli permette di ottenere consenso e collaborazione.

Giovanni Dato -ilmegafono.org