“Io non sono pacifista. Io sono contro la guerra”. “Le vittime di una guerra, qualsiasi guerra, sono sempre i civili, che non hanno colpe. Ecco perché la guerra è sbagliata in sé”. Queste sono due delle tante frasi che Gino Strada ha pronunciato nel corso della sua luminosa esistenza terrena. Sono le parole e i pensieri di un uomo maiuscolo, che alla costruzione di pace e alla cura degli ultimi e delle vittime di ogni guerra ha dedicato tutta la sua vita. Capita spesso di pensare cosa avrebbe pensato e detto Gino Strada davanti a questi mesi segnati da un conflitto di cui il mondo si sta interessando globalmente solo per due ragioni: perché è in Europa e perché coinvolge una potenza militare e in possesso di armi atomiche. Senza questi aspetti, probabilmente, il mondo occidentale avrebbe continuato a vivere la propria quotidiana indifferenza verso le vittime, come accade ogni volta che il sangue versato è lontano dai nostri schemi e dai nostri destini.

Eppure le guerre, come diceva Strada, sono tutte tragicamente uguali e dovremmo ripudiarle sempre, soprattutto dovremmo rifiutarci di armarle, di diventarne parte in campo. Il pessimo dibattito sulla vendita di armi all’Ucraina è stato la prova di una ipocrisia politica imbarazzante e funesta. Soprattutto di quella parte politica che ha scambiato la contrarietà alla vendita di armi per appoggio all’assalto criminale di Putin. Nell’epoca della polarizzazione dei concetti, nulla di nuovo. Il punto, però, è che oggi nessuno di coloro i quali contestavano e attaccavano chi invitava a scegliere la via diplomatica e a non armare una delle fazioni in guerra (dopo aver armato per anni l’altra e continuando ancora a finanziarla attraverso la politica energetica), ha il coraggio di ammettere il proprio errore. Nessuno di loro, adesso che l’escalation militare attesa è in atto, ha il coraggio di sostenere le tesi portate avanti in passato.

Quasi nessuno di loro, in realtà, perché c’è chi, come Carlo Calenda, continua a immaginare un mondo che esiste solo nella propria testa. Il leader di Azione scambia spesso la politica e le sue dinamiche per un set cinematografico o per un salotto nel quale sedersi e svuotare o banalizzare ogni ragionamento, sorseggiando un tè o un brandy. Calenda è talmente immerso in se stesso da non rendersi conto delle sue contraddizioni. Per lui, infatti, ad essere immorale non è la guerra, ma sono le manifestazioni per la pace: “Credo che le manifestazioni per la pace abbiano una componente di immoralità perché non dicono che c’è un aggressore e un aggredito e così perdiamo la bussola morale e politica”. La bussola morale e politica di un leader e del suo partito persona (Azione) che, nel suo breve e insignificante viaggio politico, ha smarrito spesso il senso dell’orientamento. Calenda contesta il pacifismo e i pacifisti, perché secondo il suo ragionamento scendono in piazza contro l’Ucraina e a favore di Putin oppure, nella migliore delle ipotesi, per chiedere all’Ucraina la resa.

Per chi è abituato a pensare per dicotomie, probabilmente, è difficile immaginare un concetto così nobile e composito come quello della pace. Difficile che possa comprendere, nell’egocentrica smania di dar ragione a se stesso, che chi manifesta per la pace non parteggia per una fazione, ma per una soluzione che interrompa il sangue, i proiettili, le bombe, i rischi di un devastante conflitto atomico. Scendere in piazza, manifestare per la fine di una guerra va ben oltre le responsabilità di chi l’ha prodotta. Ed era ora che si tornasse a parlare di pace, che si tornasse in piazza, perché per troppo tempo il pacifismo è stato assente, nelle sue dimensioni più ampie, da strade e piazze, e ancora di più dalla politica. Manifestare per la pace è come misurare lo stato cardiaco di un Paese, comprendere se il cuore è ancora saldo, se di certi valori siamo ancora in possesso, malgrado la nostra società sempre più disgregata e divisa in fazioni su ogni tema, anche il più frivolo. È un atto di alto valore, non semplice, ma intimamente significativo, è un atto d’amore verso tutte le vittime, senza distinzioni.

La pace, per tale ragione, non è mai immorale, signor Calenda. Lo è invece proporre una piazza che si schieri con una fazione. Perché quella non sarebbe una scelta di pace, ma un messaggio politico, magari anche corretto e condivisibile, ma completamente lontano dal senso profondo di una manifestazione pacifista. Soprattutto in un momento nel quale, anche in Russia, c’è chi subisce la violenza di Putin e del suo potere ferito e pertanto disposto a qualsiasi tipo di colpo di coda. Anche il più terribile. Non è più il momento di ribadire chi ha torto o ragione, questo è il momento di spingere affinché si trovi una soluzione per fermare il conflitto e salvare la vita di migliaia e milioni di persone.

Si può fare solo chiedendo che la diplomazia prenda il sopravvento, che cessi la voce grossa della violenza e delle armi. Per l’accertamento dei crimini e delle responsabilità, per tutte quelle che sono e saranno le conseguenze su chi ha prodotto questi mesi di massacro, ci sarà tempo. Adesso è solo tempo di invocare, chiedere, pretendere la pace. Che è l’unico aspetto veramente morale dinnanzi a tutto ciò che, in questa epoca di conflitti, è tremendamente immorale, come ad esempio la guerra. O, purtroppo, come certa politica.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org