Su queste pagine, abbiamo parlato della singolare vicenda legata alla scorta prima revocata e poi riassegnata a Sandro Ruotolo. L’episodio ha riportato la luce su un tema che troppo spesso è ignorato e sul quale molte verità non vengono ribadite a sufficienza: la protezione dei giornalisti minacciati dalle organizzazioni criminali. Qualche giorno fa, in un incontro organizzato nella sede della Federazione Nazionale Stampa Italiana (FNSI), numerose voci dell’opinione pubblica italiana sono intervenute per chiedere maggiore sicurezza per chi racconta le storie di mafia, e non solo, in zone spesso dimenticate dallo Stato.

Da un paio d’anni, il presidente dell’FNSI, Giuseppe Giulietti, ha lanciato l’idea di creare una vera e propria scorta mediatica per qualunque giornalista fosse minacciato, “amplificando ciò su cui quel giornalista sta indagando”. Un meccanismo che all’epoca riscosse molti consensi e che, per certi versi, si è sviluppato ed evoluto. Ne abbiamo avuto un chiaro esempio anche nella vicenda Ruotolo, con la stampa che ha fatto fronte comune per ribadire al Viminale che le minacce della camorra non hanno una data di scadenza.

È proprio il ruolo dello Stato in questo problema che spesso lascia perplessi, come ha raccontato durante l’incontro, Paolo Berizzi, giornalista di Repubblica da pochi giorni sotto scorta dopo le minacce da parte di esponenti dell’estrema destra bergamasca: “Il clan che minacciò Sandro Ruotolo è ancora attivo, lui è ancora in pericolo. Perché qualcuno ha pensato di togliergli la scorta?”.

Una domanda che riecheggia da un paio di settimane e che ancora non ha trovato una risposta, né un commento, da parte delle istituzioni responsabili del provvedimento. Sicuramente la protezione dei giornalisti non è un salasso per lo Stato: secondo un’inchiesta svolta da Tiscali.it l’anno scorso, infatti, sono circa 600 gli italiani sotto scorta e tra questi attualmente si contano appena ventuno giornalisti. Un numero davvero ristretto, specialmente se raffrontato con le stime del sito “Ossigeno per l’informazione”, che raccoglie tutte le minacce effettuate ai danni degli organi di stampa. Ben 226 intimidazioni registrate solo nel 2018. Per non parlare della aggressioni, ultima in ordine di tempo quella (la seconda dopo quella di Ostia) subita a Pescara dal giornalista Daniele Piervincenzi.

Insomma, analizzando il problema attraverso i numeri, ci sarebbe da chiedere maggiore protezione per chi svolge un mestiere che in Italia troppo spesso è pericoloso, mentre il paradosso vuole che si cerchi di tagliare le spese sulla sicurezza dei giornalisti in maniera sciatta e sommaria, salvo poi cambiare frettolosamente idea come se si stesse decidendo quale vestito indossare. E invece si decide della vita delle persone. Una bella differenza che Matteo Salvini sembra non capire nei suoi screzi con Roberto Saviano, giornalista sotto scorta e grande oppositore delle politiche del Viminale. Più volte infatti il ministro dell’Interno ha paventato la possibilità di togliere la scorta a Saviano, salvo poi nell’ultimo periodo scherzare più volte sulla possibilità di raddoppiarla, ridicolizzando chi è costretto ad una vita sotto scorta per difendere il proprio lavoro e la propria libertà.

Vincenzo Verde -ilmegafono.org