12 morti tra i detenuti, 40 feriti tra le persone che lavoravano nei penitenziari e 16 evasi ancora in fuga. È questo il bollettino di guerra delle rivolte nei carceri che negli ultimi giorni stanno tenendo banco in una situazione nazionale già compromessa dall’emergenza virale. In realtà le rivolte non sono che un altro terrificante aspetto della vicenda legata al Covid-19. La miccia che ha detonato le ribellioni è stata infatti la circolare diffusa in tutte le carceri dove è stato comunicato che, dal 9 al 22 marzo, i colloqui con i familiari sarebbero stati sostituiti dalla corrispondenza telefonica o, ove possibile, da collegamenti video usando piattaforme come Skype. La ratio di tale provvedimento era chiaramente quella di evitare la diffusione del virus in luoghi fin troppo affollati e restrittivi come gli istituti penitenziari italiani.

A ciò si è aggiunta la notizia del 28enne agente di polizia penitenziaria ricoverato in terapia intensiva a Vicenza. Da quel momento, in oltre 25 carceri in tutta la Penisola ci sono state delle rivolte dentro e fuori gli edifici, con detenuti e familiari che chiedevano amnistia e indulto, come misure più drastiche per evitare il contagio. A Foggia il tutto è sfociato in una vera e propria evasione che è stata in parte bloccata anche se sono ancora 16 i detenuti a mancare all’appello, alcuni dei quali pare fossero esponenti della criminalità organizzata garganica. Negli istituti di Rieti e Modena invece alcuni dei ribelli hanno avuto accesso a quantità letali di psicofarmaci arrivando ad eccessi fatali.

La situazione è stata per molte ore fuori controllo e le posizioni sulla vicenda sono state molto variegate. Tra queste sicuramente va sottolineata la denuncia del procuratore aggiunto di Milano, Alberto Nobili, che a Radio 24 ha spiegato che “molti detenuti hanno colto l’occasione per rivendicare trattamenti carcerari migliori, basti pensare che a San Vittore ci sono attualmente 1200 detenuti, dovrebbero essercene 700”. Una situazione non certo isolata in Italia quella del carcere milanese. Anche per avere una panoramica del problema, l’associazione Antigone, che da oltre 30 anni si occupa di diritti e garanzie nel sistema penale, ha iniziato a mappare i provvedimenti presi singolarmente nei vari istituti italiani per far fronte all’emergenza Coronavirus.

Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione, ci ha tenuto a precisare che “la maggior parte dei reclusi ha manifestato pacificamente” e la loro protesta è stata danneggiata da chi invece ha usato violenza verso cose e persone. Anche dalla politica arrivano proposte per alleggerire il carico dei penitenziari italiani, uno tra i tanti Franco Mirabelli del PD che propone di “mettere ai domiciliari tutti quelli che hanno ancora pochi mesi da scontare”. Insomma le proposte ci sono, anche Antigone ne ha presentate alcune, come quella di fornire ai penitenziari almeno uno smartphone per ogni 100 detenuti (al fine di agevolare le comunicazioni “smart” con l’esterno) o quella di allargare le misure di semilibertà con la possibilità di trascorrere la notte nel proprio domicilio. È importante che, al netto delle violenze e di chi ha cercato di utilizzare una protesta legittima per scopi criminosi, il governo si muova anche su questo per garantire l’ordine pubblico e soprattutto dignità a chi vive in condizioni di restrizione.

Vincenzo Verde -ilmegafono.org