Pochi giorni prima del trentunesimo anniversario della morte del giudice Giovanni Falcone, ucciso barbaramente a Capaci, tra l’aeroporto di Palermo e il capoluogo siciliano insieme a sua moglie e a tre agenti di scorta, la fondazione Ipsos ha reso noti i risultati dell’annuale indagine demoscopica in merito alla mafia e alla percezione che gli italiani hanno di essa. A distanza di un anno, il risultato appare per certi versi più preoccupante. Sebbene, infatti, sia ancora superiore alla metà la percentuale di cittadini che ritiene la mafia una priorità per l’intero Paese (circa il 55%), è pur vero che questa percentuale si è abbassata notevolmente rispetto al 2022 (62%). Calo ancora più marcato al Sud, dove nel 2022 era il 69% a ritenere la lotta alla criminalità organizzata una priorità, mentre oggi il dato si assesta al 61%. Nonostante ci sia ancora tanta gente convinta dell’importanza prioritaria di combattere le mafie, risulta evidente come vi sia un vero e proprio calo di attenzione e sensibilità sul tema da parte di una cospicua fetta di italiani.

Un calo che potrebbe costare caro, specialmente con riferimento alle generazioni future e a quelle che oggi si affacciano al mondo reale, al Paese in quanto sistema. Tra gli italiani, tuttavia, resta ancora alta la convinzione che la mafia non sia più quella di una volta: circa il 77% di essi, infatti, condivide l’opinione secondo la quale “i mafiosi attuali non sono più contadini semianalfabeti, ma manager in giacca e cravatta che girano il mondo”. Oltre il 70% degli intervistati, inoltre, non crede che si tratti di un fenomeno circoscritto al Mezzogiorno, bensì di un vero e proprio fenomeno nazionale. Risulta chiaro, quindi, come il cambiamento della mafia sia sotto gli occhi di tutti, persino di coloro i quali non hanno a che fare con essa giorno dopo giorno, in maniera regolare.

Se questi dati possono in un certo senso rinfrancare e far sperare in meglio (solo un italiano su sei, per fortuna, crede che la mafia sia un “fenomeno culturale, una mentalità insita in alcune fasce della popolazione”), resta il fatto che, come abbiamo visto, sono sempre meno le persone che la ritengono una vera priorità per il Paese. Probabilmente, in questo cambio di prospettiva, pesano le difficoltà economiche, l’incertezza sul mondo del lavoro e sul futuro. Per non parlare della recente pandemia, di tutto quel che ha comportato, nonché della guerra e degli intrecci geopolitici.

Se da un lato abbiamo delle preoccupazioni legittime e sicuramente di grande valore, dall’altro però non bisogna dimenticare (o far finta di dimenticare) quanto il fenomeno mafioso sia un problema enorme, alla stregua di quelli appena citati, o addirittura sia una concausa di alcuni di essi. A differenza dell’inflazione o dei problemi economico-finanziari di un Paese, la presenza della criminalità organizzata intacca quotidianamente la sicurezza, la crescita e la libertà di una comunità in maniera costante, anche se a volte non visibile a tutti. Il prezzo di un prodotto rincarato del 10% nel giro di due settimane è un qualcosa di evidente, di tangibile. Lo stesso si può dire per la benzina o magari per le rette universitarie. Ci sono fenomeni, invece, che sono meno tangibili nell’immediato. L’abbandono scolastico e l’assenza di istruzione tra i giovani; l’impossibilità di fare impresa in maniera fluida e nel pieno rispetto delle regole, causando così ritardi, intoppi e umiliando l’etica; l’assenza di politiche che tutelino il merito e la legalità, invece di lasciarsi macchiare dalla corruzione: tutto questo è, in un certo modo, molto meno evidente rispetto a quanto citato prima, eppure tanto doloroso e importante e, soprattutto, è causato dalla presenza delle mafie.

L’idea che una sorta di sottostruttura criminale, viva a scapito del Paese reale, non può essere accettata. Così come non si può accettare, ad esempio, che il sommerso viva e prolifichi e, in generale, che un’associazione criminale possa intaccare tessuto economico e sociale di un Paese al fine di accumulare potere e ricchezza. Allo stesso modo, non è accettabile che una popolazione ritenga la mafia un problema non prioritario. Certo, ciò dipende anche da come la politica tratti questo tema e da quale priorità assegni alla lotta alla criminalità organizzata. E in questi anni il silenzio e l’ignavia in tal senso sono stati una costante. Ecco perché è importante, anche alla luce di questa ultima indagine Ipsos, che il problema mafia non venga sottovalutato per nessuna ragione al mondo. Bisogna parlarne (e pure tanto), non solo in occasione di avvenimenti tragici e commemorazioni. Bisogna parlarne con i giovani e farlo in modo sincero e profondo. Bisogna agire, fare, informare, esercitare memoria. Bisogna spiegare e far capire a tutti i cittadini che la mafia esiste ancora ed è un problema da risolvere al più presto. E bisogna farlo in tempo di pace, non sull’onda emotiva di un fatto di sangue. Abbiamo già dato e non vogliamo più tornare ai tempi bui. Ma dipende da noi. Da tutti noi. 

Giovanni Dato -ilmegafono.org