Sono 25 gli arresti nei confronti di esponenti del clan Sangermano, noto clan di camorra attivo alle porte di Napoli, con forte presenza nel territorio di Nola e di Avellino. Le accuse per gli arrestati sono varie, tra cui quelle di associazione mafiosa, estorsione, usura e autoriciclaggio con l’aggravante delle finalità e delle modalità mafiose. Il clan Sangermano, a differenza di altri presenti nel territorio campano, è uno dei pochi tutt’oggi più ancorato alla forza militare che alle infiltrazioni. Pochi colletti bianchi a sostegno, ma tante armi, poche infiltrazioni, ma tante, tantissime minacce nei confronti di imprenditori e semplici commercianti, vittime di un racket violento e opprimente contro cui è difficile combattere.

Ed è proprio al termine di un’indagine incentrata sull’usura e sul racket che i carabinieri del Nucleo Investigativo del Gruppo di Castello di Cisterna, con personale della Direzione Investigativa Antimafia, hanno realizzato un imponente blitz, conclusosi poi con l’arresto dei membri del clan. Secondo l’inchiesta, il clan Sangermano avrebbe infatti acquisito una presenza e un potere notevoli sul territorio grazie soprattutto alle estorsioni e all’uso della violenza nell’imporre forniture, specialmente nei confronti di imprenditori edili e ristoratori. Nel caso dei primi, questi sarebbero stati costretti ad acquistare materiale esclusivamente dalla società Edil Sangermano, gestita ovviamente da prestanome molto vicini alla cosca. Per quel che riguarda i ristoratori, invece, si sarebbe trattato di imporre l’acquisto di prodotti caseari (tra cui diverse tonnellate di mozzarella), anch’essi prodotti “in casa propria” e spesso di pessima qualità.

Il tutto, ovviamente, a favore dello stesso clan che vedeva non solo rimpinguati i conti e le casse, ma soprattutto riusciva ad acquisire sempre più controllo territoriale, forte di una quantità di armi e munizioni da formazione bellica. Dall’inchiesta appare evidente come la camorra, sfruttando la scarsa presenza dello Stato, riesca ancora oggi a governare intere porzioni di territorio in maniera quasi del tutto incontrastata. Il pensiero, in casi del genere, non può che andare proprio a quegli imprenditori e ai proprietari dei ristoranti che si son visti costretti ad accettare il ricatto mafioso, pur di continuare a lavorare e dar da mangiare alle proprie famiglie e a quelle dei propri dipendenti. E un pensiero particolare va alla memoria di Andrea Canonico, titolare del ristorante “Quagliarella” di Monteforte Irpino. Un imprenditore di 53 anni schiacciato dalla camorra e dal clan Sangermano, fino ad arrivare a togliersi la vita, lo scorso 7 gennaio, impiccandosi. 

Il clan Sangermano dimostra che le mafie, pur prediligendo affari più remunerativi e in forme del tutto diverse, continuano a usare la minaccia, la violenza, il loro peso militare per esercitare il controllo sociale ed economico di un territorio. In un Paese devastato dalle conseguenze della pandemia e, adesso, di un’inflazione implacabile, pensare che alla sofferenza delle imprese si aggiunga anche quella derivante dall’agire vessatorio e opprimente di una organizzazione criminale provoca rabbia e disprezzo. Perché se è vero che questa volta è toccato alla provincia di Napoli e di Avellino, è anche vero che questo avviene anche in altre zone, lungo lo Stivale, con le stesse drammatiche conseguenze. Quello che è successo ad Andrea Canonico potrebbe accadere ad altri. Perché i commercianti, i ristoratori e gli imprenditori colpiti dal racket del clan Sangermano sono i commercianti i ristoratori e gli imprenditori di tutta Italia. Prima lo capiamo, prima sapremo uscirne. Prima la politica deciderà di svegliarsi e di colpire i veri nemici del nostro Paese, invece di accanirsi su dei disperati, prima potremo liberare interi territori dall’angosciante e paralizzante male mafioso.

Giovanni Dato -ilmegafono.org