Alla fine, dunque, avevamo ragione noi e tutti quelli che scrivevano che, dietro le accuse alle ong impegnate nell’attività di soccorso in mare, non c’era nulla. Se non una volontà politica trasversale (da Gentiloni e Minniti a Conte, Di Maio e Salvini, fino ad arrivare a Piantedosi e Meloni) di svuotare il mare da quei testimoni che potevano denunciare la crudeltà delle politiche dei governi italiani e dell’Europa sul tema dei migranti. Politiche disumane, il cui principio cardine era urlare, in modo più o meno sguaiato, all’invasione e accusare le ong di essere complici dei trafficanti, di essere dei “taxi del mare”. Intanto, tra uno slogan e un altro, tra un codice di condotta e un altro, venivano siglati o confermati accordi con le autorità libiche, formando i guardacoste e donando mezzi di soccorso, con i quali riportare le vittime di tratta nelle mani dei carnefici, ossia di quei trafficanti che erano pienamente intrecciati alla stessa Guardia Costiera libica.

In questi anni, la narrazione contro le ong è stata ossessiva, non solo da parte della politica (e purtroppo non soltanto quella di destra), ma anche da parte dei mass media, che hanno riempito pagine e pagine, telegiornali, servizi tv, trasmissioni, di fake news, menzogne costruite ad arte, testimoni farlocchi, accuse violentemente diffamatorie. Senza alcun freno, “appoggiati” indirettamente da una parte di magistratura che oggi dovrebbe finire sotto accusa, specialmente con riferimento a chi ha dato vita ad indagini e a processi basati sul niente, partiti da operazioni e ordinanze vuote di senso, prive di qualsivoglia notizia di reato, spesso aggrappati a ricostruzioni creative, attraverso cui cercare qualsiasi appiglio, anche il più ridicolo, per fermare il lavoro delle navi ong. Navi che, è bene ricordarlo sempre, sono nate e hanno iniziato a svolgere la propria attività umanitaria per colmare il vuoto feroce lasciato volutamente dalle istituzioni europee, le quali hanno annullato le operazioni congiunte di pattugliamento e soccorso sul Mediterraneo.

Una scelta politica quella dei governi, basata sul calcolo elettorale, sulla necessità di seguire le logiche razziste e xenofobe diffuse tra i cittadini, solleticati e stimolati in questo dalle forze sovraniste che sono cresciute negli anni in Europa. Il potere ha compreso che mostrarsi duri con i migranti, con il nemico immaginario, paga e aiuta a ottenere consensi, a conquistare fette di elettorato altrimenti distanti. Così l’Europa si è chiusa e ha scelto pilatescamente di affidare ad altri il lavoro sporco, quello che formalmente non sarebbe ammissibile per una democrazia, vale a dire condannare alla tortura, alla sofferenza e alla morte degli esseri umani disarmati. Dei civili. La Libia da una parte, la Turchia dall’altra, con in mezzo accordi con alcuni paesi africani, some fece l’Italia di Gentiloni e Minniti con il Gambia dell’ex dittatore Jammeh o con il Niger. O come vuole fare oggi Giorgia Meloni con l’Albania, delocalizzando i centri di detenzione e sperando di sbrigare in maniera rapida e arbitraria le procedure di asilo. O infine come ha fatto, in questi giorni, la Gran Bretagna, approvando una legge che consente di deportare in Ruanda i migranti ritenuti illegali.

Insomma, in questo scenario osceno, le ong sono state e sono tutt’oggi la luce puntata sulle magagne del potere nei confronti dei diritti umani e, in particolare, di quelli delle persone che migrano. Il recente procedimento a Trapani contro le ong Jugend Rettet, Save The Children e Medici senza frontiere, così come quelli passati contro Sea Watch e altre, si sono chiusi con l’assoluzione di tutti gli imputati. La conclusione è sempre la stessa: il fatto non sussiste. Non c’è alcuna complicità tra ong e trafficanti. Non c’è alcuna attività secondaria oltre a quella umanitaria. Semplicemente, come si scrive da anni con tanto di prove, le navi umanitarie fanno quello che chiunque dovrebbe fare: salvare vite umane e portarle nel porto sicuro più vicino, che non può essere la Libia, paese nel caos e che non aderisce alle convenzioni internazionali in materia di diritti umani.

E sottolineiamo anche, in risposta ai complottisti travestiti da giornalisti e che operano anche su testate che si rifanno in modo blasfemo a una presunzione di verità, che non c’è alcun pull factor, alcun fattore di attrazione, perché la gente scappa dall’inferno indipendentemente dal fatto che ci sia qualcuno che, dopo, possa salvarli. Chi fugge pensa innanzitutto a scappare salvando se stesso, a lasciare la casa che brucia, l’orrore delle torture e della violenza libica, che Italia ed Europa (e le istituzioni internazionali che dovrebbero vigilare) consentono.

La verità giudiziaria è arrivata ancora una volta, ma non ce n’era bisogno, perché la verità morale e fattuale era già nota e indiscutibile per chiunque avesse voluto davvero conoscerla e approfondirla laicamente. Purtroppo, il nostro Paese è allergico alla verità, preferisce la propaganda, le menzogne, lo spreco di tempo e di risorse. Perché è un Paese immaturo, con una classe politica paludosa e incapace, nella quale maggioranza e opposizione si scontrano su tutto, ma poi vedono le loro differenze spesso scolorirsi davanti alle convenienze quando si tratta di governare certi fenomeni. Un Paese, l’Italia, con una stampa che in buona parte è legata al guinzaglio del potere e viola sistematicamente qualsiasi deontologia e principio. Una stampa la cui libertà va difesa, perché sacrosanta, ma che deve interrogarsi su se stessa e che dovrebbe ad esempio garantire a chi è stato messo sotto accusa, con titoloni e prime pagine, di ricevere lo stesso spazio e la stessa eco per l’avvenuta assoluzione.

Siamo anche un Paese nel quale ci sono magistrati inquirenti che commettono errori gravi, costruendo a volte teoremi accusatori fallaci e privi di fondamento, al punto da far nascere il sospetto di ispirazioni politiche. L’autonomia della magistratura va difesa dai tentativi autoritari del potere, sia chiaro, ma va difesa anche aprendo una discussione su alcune inchieste prive di senso, forzate e sbagliate sin da principio, costate tanto e trascinate per anni. Così come sarebbe necessario che la società civile iniziasse una battaglia di pressione politica per cancellare il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Innanzitutto perché è una leva che, muovendosi su confini troppo ampi e astratti, può far rientrare qualsiasi cosa dentro tale fattispecie, portando a storture inaccettabili come quelle sulle ong e sulla solidarietà. E poi perché l’immigrazione non è mai clandestina, visto che spostarsi è un diritto che gli Stati di approdo possono regolare per gestire le modalità giuridiche dell’accoglienza, ma non negare con meccanismi disumani o procedure che non tengono conto della tutela dei diritti delle persone.

Così dovrebbe essere almeno idealmente, ma purtroppo siamo in Europa, in questa Europa. E in questa Italia. Quella in cui, ad esempio, un ministro dell’Interno mente sapendo di mentire in merito al lavoro delle ong, quella in cui un governo, per andare dietro alla propria idea politica, lascia che oltre 90 persone muoiano davanti alle coste della Calabria. L’Italia in cui una premier annovera tra le sue celebri posizioni politiche del passato l’idea di affondare le navi ong. Cioè quelle di chi difende i diritti umani e salva le persone dall’indifferenza e dalla perfidia del potere. 

Massimiliano Perna -ilmegafono.org