A volte capita che l’arroganza del potere, circondata da schiere di vassalli silenziosi o di commensali animati da interessi vari, vada a schiantarsi contro se stessa. Questo accade quando chi gestisce quel potere, a qualsiasi livello, ritiene di essere infallibile, di avere sempre ragione, quando si rifiuta di ascoltare, quando si convince che comanda per una sorta di diritto acquisito e non per mandato dei cittadini. Tutti i cittadini, anche quelli che dissentono o non sono stati propri elettori. In Sicilia, l’arroganza, storicamente compagna di viaggio della cattiva politica, spesso diventa particolarmente problematica, perché rischia di compromettere la salvaguardia di quella bellezza che ancora oggi, a fronte di un tessuto politico-economico decadente e ottuso, consente di compensare e di resistere, di non arrendersi alla tentazione di mollare tutto e andare via. La vicenda dell’utilizzo del teatro greco di Siracusa è un esempio perfetto dello scenario appena descritto.

Una scelta, quella di calendarizzare 14 concerti pop o pop-rock in un bene in condizioni già difficili, presa senza alcun diritto e senza alcuna cura per la tutela del bene stesso e senza ascoltare gli enti preposti a questa tutela, che si erano dichiarati contrari. A una classe politica matura, sarebbe bastato solo questo aspetto, relativo a un iter procedurale figlio di una indecente modifica della normativa regionale, per usare prudenza, per rivolgere il proprio ascolto ai tanti studiosi, ex sovrintendenti, archeologi, esperti della materia, che da mesi chiedono di fermarsi. Sarebbe bastato far prevalere l’amore per il bene comune all’orgiastica smania dell’offerta turistica e della annessa retorica che stanno pesantemente modificando la fisionomia di luoghi importanti della città. Nulla di tutto questo. La risposta del governo comunale e di quello regionale è stata acida e contraddittoria, con quest’ultimo che solo in questi giorni, dopo i preoccupanti sviluppi, sembra voler tornare sui suoi passi e rimediare al pasticcio messo in piedi con una disarmante superficialità.

Da un lato, una carrellata di menzogne, giustificazioni e rassicurazioni, prive di alcun fondamento scientifico, con l’aggravante grottesca delle indagini sullo stato del teatro rinviate a dopo gli eventi, del calendario fissato e dei biglietti venduti senza che vi fossero ancora le autorizzazioni degli enti di tutela; dall’altro l’arroganza di chi è ormai disabituato al confronto democratico serio (il Comune di Siracusa è governato senza il contrappeso del consiglio comunale, decaduto tempo fa). In questi mesi, le cose che più disturbano di questa vicenda sono il silenzio vigliacco della Giunta regionale, svegliatasi solo dopo che il caso ha assunto rilievo mediatico nazionale, e l’indisponibilità del sindaco e del suo assessore alla Cultura a discutere, ad ascoltare e a dire la verità. Avremmo preferito un primo cittadino che, più che preoccuparsi di rispondere privatamente allo scopo di screditare facilmente illustri studiosi o attivisti, accusati sommessamente di agire in base a fantomatici interessi, avesse avuto l’umiltà di accettare un confronto con gli studiosi e di ascoltare chi, a differenza sua, sulla materia oggetto del contendere, ha competenza, pubblicazioni e anni di studio e di ricerca alle spalle.

Non è stato possibile, purtroppo, dialogare con un sindaco e un assessore alla Cultura che, per deformazione e probabilmente ormai per abitudine, pensano che la città e il suo futuro siano un loro fatto personale, che la loro visione sia la sola possibile e che il dissenso sia catalogabile tutto come oltranzista o talebano, che non esistano visioni alternative, ragioni più valide delle loro o posizioni sincere e disinteressate. Evidentemente ciascuno, con riferimento agli altri, ragiona con la stessa coscienza con la quale è abituato a operare… Ad ogni modo, non è una bella cosa sentire allusioni sul fatto che un illustre studioso faccia le battaglie per avere visibilità o perché aspiri a ottenere un restauro. Ancora peggio è sentirlo dire da chi, da mesi, sta costruendo la propria campagna elettorale per le elezioni comunali. Purtroppo, questo è il vizio dell’attuale politica “smart”, quella popolata da nuovi rampanti, allevati a pane e marketing, che guardano alla cultura e alle loro esigenze di tutela come a un freno, un ostacolo fastidioso per le proprie trame politiche.

Trame che mirano a nutrire contemporaneamente la “fame di grandi eventi” di una popolazione di provincia e la fame di profitto dei gruppi economici che ruotano attorno a tali eventi e che potrebbero costituire un ottimo mezzo di sostegno elettorale. Gruppi economici ai quali è stato permesso di affondare le mani (e i propri interessi) dentro al parco archeologico, con buona pace per l’aspetto culturale e storico che, in un luogo simile, dovrebbe essere l’aspetto preponderante e non negoziabile. E che dovrebbe vedere anche la Fondazione INDA (di cui il sindaco è presidente) vigilare e soprattutto agire con una trasparenza che al momento (ad esempio sugli oneri finanziari che gli impresari avrebbero dovuto versare per l’utilizzo delle impalcature e delle coperture lignee) non c’è.

Il risultato è che l’arroganza della politica, a Siracusa, ha partorito questo caotico scontro su un tema che non dovrebbe nemmeno essere oggetto di discussione, nel senso che non dovrebbe spettare al sindaco o all’assessore alla cultura comunale, né a quello regionale, decidere della fattibilità di un dato evento in un luogo di pregio, in un bene dell’Umanità e non, come qualcuno ancora sostiene, solo della città. Né tantomeno dovrebbe spettare a una Commissione regionale che oggi ha il potere di decidere e che, anche se fosse riempita di archeologi, rimarrebbe sempre uno strumento inutile di nomina politica. Il punto, infatti, è che esistono già organi di tutela qualificati, gli unici competenti e sottoposti a determinate leggi: le Sovrintendenze e le direzioni dei parchi archeologici interessati. Soggetti che, infatti, non a caso, si sono opposti a questa scelta e non hanno rilasciato le autorizzazioni necessarie, costringendo l’assessorato regionale alla Cultura a intervenire per cercare di spostare gli eventi in un luogo alternativo (si spera senza andare a distruggere altri monumenti).

In questa storia triste, insomma, c’è tutta la pochezza della politica siciliana e, duole dirlo, di una parte della società siracusana che l’ha più o meno silenziosamente sostenuta, diventando compartecipe di questa grande cerimonia colma di fumo da gettare in faccia al popolo. Tutto ciò in nome di due elementi che, in un contesto normale, non potrebbero mai essere prioritari rispetto alla tutela del patrimonio culturale: vale a dire il divertimento e il denaro. A ciò si aggiunga la fragilità culturale di una cittadinanza che, in buona parte, considera e definisce “quattro pietre” ciò che è un lascito prezioso dell’antichità e inestimabile testimonianza della nostra stessa identità.

Davanti a tutto questo, davanti a una coscienza civica striminzita e molle, davanti all’arroganza dei sovrani di questa isola e di questa città, la sola speranza è rimasta la Procura. Che finalmente si è mossa e avrebbe deciso di aprire un’inchiesta sulla base di due esposti (ai quali se ne aggiungeranno altri). Una notizia dalla duplice valenza: positiva, perché permetterà di riscontrare le eventuali irregolarità commesse da chi ha deciso di sacrificare il teatro per i propri scopi; negativa, perché in una democrazia compiuta sarebbe stato sufficiente ascoltare chi possiede le competenze per decidere. Ma questa è la Sicilia, terra di gattopardi e di politici mediocri e tracotanti. Questa è la terra del sasso buttato di nascosto e delle mani nascoste con sfacciata lentezza.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org