C’è chi sostiene che il modo migliore per combattere il male, sia quello di ignorarlo. Una teoria che, se fosse applicata in medicina, avrebbe effetti drammatici. Ma trasferita sul piano della politica, secondo alcuni, potrebbe produrre un risultato miracoloso. Almeno così dicono, anche se ancora non esistono dati empirici a sostegno di tale teoria. E questo è un problema non da poco, anche perché l’unico precedente non appare molto confortante. Era il 2001 e Indro Montanelli, con riferimento a Berlusconi e al berlusconismo, parlò di malattia e vaccino, affermando che per sconfiggere il Cavaliere l’unica soluzione fosse quella di lasciarlo governare.

Quasi un ventennio dopo, possiamo dire che il vaccino non ha funzionato tanto bene, se oggi paghiamo ancora le conseguenze del berlusconismo sulla politica e sulla cultura di questo Paese. Né sembra più efficace, nell’epoca della comunicazione sempre meno mediata e più diretta, il silenzio come risposta difensiva alla terrificante dittatura dell’algoritmo, entità matematica ormai divenuta leggendaria e misteriosa. Al netto dei richiami sacrosanti (ma di complessa e non immediata attuazione) alla piazza e alla battaglia concreta sul territorio, la rivolta del silenzio in verità ci appare piuttosto inutile. Chi governa continua indisturbato a inquinare il dibattito e soprattutto a veicolare una disinformazione pericolosa che sta compiendo danni che pagheremo a lungo.

I social e il web sono una parte importante, ma non esclusiva, di questa azione che marcia a velocità sostenuta e con una capacità di resistenza non indifferente. Anche quando la menzogna viene smascherata, infatti, esiste una preoccupante debolezza della smentita e della verità riconquistata. La bugia resiste perfino quando viene messa a nudo e diviene evidente. Forse, dunque, non è ignorando certe affermazioni o false notizie che se ne limita la portata. Non è l’algoritmo di un social il nemico da combattere cercando di svuotarlo di potenza.

Sia chiaro, ciò non vuol dire che bisogna correre dietro a qualsiasi dichiarazione, post, tweet e quant’altro. Ma è fondamentale rispondere, con competenza, durezza o ironia, quando le uscite di un ministro sollevano una questione politica o di opportunità istituzionale. Così come è necessario smettere di porsi su un piedistallo di insignificante snobismo dinnanzi alle iniziative politiche di chi, in qualche modo e con i mezzi che la democrazia consente, prova a fare opposizione nel Paese. Dire ad esempio che l’azione dei sindaci contro il decreto sicurezza “non serve” è (questo sì) davvero inutile. Perché, in presenza di un governo autoritario e di violazioni manifeste della Costituzione, la presa di posizione di circa cento sindaci ha aperto un fronte che ha già prodotto delle conseguenze.

La posizione di apparente dominio di qualche ministro comincia a trovare finalmente dissenso concreto, apparendo meno granitica e aprendo anche delle falle all’interno del governo. La reazione successiva di alcune regioni, con l’annunciato ricorso alla Consulta, non è roba da poco. Non è certo simbolico né tantomeno inutile. Con buona pace dei fautori del silenzio e delle brigate dell’algoritmo. Il Paese aveva bisogno di capire che contro il decreto sicurezza ci sono delle possibilità di intervento (come spiega il prof. Ferrajoli in un editoriale). Ma aveva bisogno soprattutto di ricevere un soffio di dignità. La stessa di coloro i quali hanno protestato contro la chiusura dei porti e a sostegno di un intervento di umana solidarietà nei confronti dei 49 migranti lasciati per settimane in balia del mare, a bordo delle navi delle Ong. Anche su questo tema, è necessario rispondere. Nel merito e senza bisogno di insulti.

Al di là delle schermaglie dentro l’esecutivo (che sicuramente si placheranno in nome della conservazione della poltrona), bisogna ribadire un po’ di verità. Innanzitutto contestando l’assimilazione fra trafficanti e Ong che qualche ministro ed esponente leghista continua a fare, infischiandosene dei dissequestri e delle richieste di archiviazione esistenti nei procedimenti contro le Ong aperti sia in Italia che a Malta. Siamo ai confini (e forse anche oltre) della calunnia e sarebbe ora che a giudizio venisse chiamato chi ancora si ostina a riproporre affermazioni prive di fondamento.

In secondo luogo, bisognerebbe smentire due elementi fondamentali. Primo: le Ong non hanno violato alcuna normativa, ma hanno rispettato le norme del diritto internazionale, compresa la Convenzione di Ginevra sui rifugiati, traendo in salvo i naufraghi e non consegnandoli ai libici, in quanto la Libia, come riconosciuto dalle Nazioni Unite, non può essere considerato un porto sicuro (leggi qui). E sarebbe ora che Europa e soprattutto Italia lo capissero. Secondo: va ricordato che la questione dei porti chiusi è falsa. Non esistono provvedimenti normativi di chiusura dei porti. Lo ha candidamente affermato anche il ministro Toninelli. Pertanto la ripetizione continua dello slogan “i porti restano chiusi” è pura mistificazione ed attiene al piano della propaganda del Viminale e non della effettiva gestione istituzionale.

Lo spiega molto bene anche l’ex ufficiale di Marina (e oggi senatore), Gregorio De Falco, il quale sostiene anche che, nel recente caso dei 49 migranti a bordo delle navi umanitarie, non vi fosse alcuna ragione di negare l’approdo a quelli che sono a tutti gli effetti dei naufraghi. Infine, non bisogna mai dimenticare che, in sede europea, le forze che compongono il governo italiano hanno sempre votato contro (o si sono astenute) tutte le proposte di riforma del regolamento di Dublino volte a consentire la redistribuzione dei migranti tra i paesi dell’Ue.

Un atteggiamento che va contro i proclami lanciati da Lega e Movimento in patria. Se il governo italiano, che ha dato finalmente la disponibilità ad accogliere alcuni dei migranti ultimamente sbarcati a Malta, avesse appoggiato e promosso le proposte di riforma votate in Europa in questi ultimi anni, invece di fare fronte comune con populisti e sovranisti dell’Est, avrebbe potuto evitare di mostrare spietatezza e di violare una serie di norme internazionali in materia di rifugiati. E, insieme all’Europa, avrebbe evitato di scrivere un’altra pagina di atroce disumanità sulla pelle di poveri disperati.

Insomma, sono molte le cose da dire e sulle quali obiettare ed è un bene che ci siano giornalisti, storici, giuristi, attivisti, vescovi, intellettuali, esponenti politici che hanno scelto di metterci la faccia e le competenze. E che hanno scelto di agire. Anche rischiando consapevolmente procedimenti giudiziari. Perché la giustizia, di fronte al giudizio della storia, è una conquista che ha a che fare con l’umanità. E tacere o ignorare il terrore, non solo non serve, ma spesso può diventare complicità.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org