Sono sempre più tesi i rapporti tra Turchia e Unione Europea dopo gli incidenti diplomatici delle ultime settimane che hanno visto pesanti scambi di accuse tra alcuni governi dell’Ue e il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan. Nelle sue ultime esternazioni, Erdogan ha detto che continuerà a definire i paesi europei “nazisti” finché questi continueranno a definirlo un dittatore. “Siete liberi di definire Erdogan un dittatore, ma Erdogan non è libero di chiamarvi fascisti o nazisti – ha detto il capo dello Stato turco in un’intervista televisiva -. Senza offese, continuerò a chiamarli con quegli appellativi fin quando loro definiranno Erdogan un dittatore”.

La polemica è iniziata i primi giorni di marzo quando alcune città europee, in Germania, Austria e Olanda, hanno impedito a ministri turchi di tenere comizi elettorali per promuovere il referendum sulla controversa riforma costituzionale voluta da Erdogan per trasformare il suo paese in una repubblica presidenziale.

La polizia dei Paesi Bassi, nella notte di sabato 11 marzo, ha impedito al ministro turco della Famiglia, Fatma Betul Sayan Kaya, di entrare nel consolato di Rotterdam per tenere un comizio e l’ha scortata in Germania. Nello stesso giorno le autorità olandesi avevano negato il permesso di atterraggio al ministro degli Esteri di Ankara, Mevlut Cavusoglu, il quale aveva in programma anche lui un “incontro con i cittadini” turchi residenti nel paese Ue per promuovere il referendum costituzionale. Nei giorni successivi Erdogan ha alzato i toni dello scontro, ricorrendo più volte ai paragoni tra il governo olandese e il nazismo, senza risparmiare accuse a Berlino e agli altri paesi europei che hanno impedito i comizi turchi. Nei confronti dell’Olanda, Ankara ha preso provvedimenti piuttosto forti, come la sospensione di tutti gli incontri di alto livello programmati tra i due paesi nei prossimi mesi.

Sia nei Paesi Bassi, che in Austria e in Germania risiede una folta comunità turca che ha il diritto di voto al referendum del 16 aprile che, se approvato, garantirà ad Erdogan ampi poteri, consegnandogli di fatto le chiavi del paese. E forse questo è il motivo principale per cui Erdogan è rimasto sordo a tutti gli inviti alla calma e alla distensione che sono arrivati da Bruxelles, nonché dallo stesso premier olandese, Mark Rutte. Quest’ultimo, ha tentato di trovare un canale di dialogo con la Turchia, dicendosi pronto a fare il possibile per “placare le tensioni”, pur definendo “bizzarre e inaccettabili” le parole di Erdogan. Il governo turco, per tutta risposta, ha chiesto “scuse scritte” all’Aia e il ministro della Giustizia, Bekir Bozdag, ha annunciato di essere pronto a ricorrere alla giustizia internazionale.

“Cosa può fare la Turchia nel quadro del diritto internazionale? – ha affermato Bozdag -. Naturalmente, userà tutti i diritti e i poteri garantitele dal diritto internazionale. Non permetteremo ad alcuno di danneggiare la reputazione nazionale della Turchia e del suo popolo”. Secondo Bozdag, le polemiche sulla campagna elettorale del partito Giustizia e sviluppo (Akp) per il referendum costituzionale hanno rivelato “una discriminazione, un razzismo, una xenofobia e un’islamofobia crescenti” in Europa.

In realtà, come è emerso nei giorni successivi all’escalation di tensione tra Ankara e L’Aia, anche le posizioni assunte dagli esponenti politici olandesi e dallo stesso premier Rutte sono state dettate dall’agenda elettorale. Con il divieto di propaganda politica rivolto alla controparte turca, infatti, Rutte si è fatto pubblicità per le elezioni legislative del 15 marzo ed è riuscito, in questo modo, a sottrarre voti al rivale Geert Wilders, leader nazionalista noto per le sue esternazioni anti-islamiche e anti-turche. E così come in Olanda lo scontro con la Turchia ha favorito il premier, nel paese di Erdogan lo scontro con l’Ue sembra aver rafforzato il governo dell’Akp. In questo caos, però, quella che è stata veramente danneggiata è la credibilità di entrambe le parti.

Ormai da diverso tempo, infatti, Ankara minaccia di sospendere i rapporti con Bruxelles e di rompere un vantaggiosissimo accordo siglato lo scorso anno con i paesi europei per gestire i flussi dei rifugiati siriani. L’intesa, firmata il 18 marzo del 2016, prevede in sostanza che la Turchia riceva fondi fino a 6 miliardi di euro per contenere il flusso dei profughi siriani diretti in Europa, con la promessa dello sblocco da parte Ue del processo di liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi. 

Ankara, come già detto, ha ripetutamente minacciato di aprire i confini e riversare in Europa centinaia di migliaia di profughi, ma ha già ricevuto una parte dei fondi ed è improbabile che intenda rinunciarvi. L’Europa, da parte sua, non può fare a meno della Turchia per impedire che migliaia di disperati in fuga dalla guerra in Siria varchino ogni giorno le sue frontiere. Al di là delle provocazioni, quindi, entrambe le parti sanno di avere molto da perdere in uno scontro diplomatico che rischia di divenire inutilmente dannoso se portato alle estreme conseguenze.

G.L. -ilmegafono.org