Immaginiamo per un attimo di essere come quelli che mettono sempre al primo posto la ragion di Stato, quelli che non hanno la smania pacifista, l’utopica idea di un mondo senza conflitti. Immaginiamo di osservare, in maniera totalmente asettica, vale a dire senza influenze storiche o pregresse, senza bandiere da sventolare o posizioni da difendere, quello che sta avvenendo a Gaza e in Palestina. Proviamo a ricapitolare, partendo da questo punto di osservazione. Uno Stato, Israele, subisce una ferita terribile, il rapimento, il massacro, lo stupro di civili da parte dei miliziani dell’organizzazione Hamas. Oltre mille i morti, qualche centinaio gli ostaggi, molti dei quali ancora in mano agli assalitori. Un orrore inaccettabile, ingiustificabile, una carneficina di persone comuni, qualcosa da condannare senza riserve e rispetto alla quale, per la ragion di Stato alla quale accennavamo prima, non si può non rispondere con fermezza. E questo, ripetiamolo, mettendo da parte l’utopia pacifista, si può anche comprendere.

Dopodiché, però, dallo stesso punto di osservazione, ossia da quello di chi solitamente non parteggia per la pace, né partecipa al movimento pacifista, è ugualmente impossibile non definire ignobile, oscena, disumana la portata della reazione israeliana. Perché persino una cosa orribile come la guerra ha le sue regole e se non le rispetti, se ti accanisci contro una popolazione, massacri migliaia e migliaia di civili, di uomini, donne e (tantissimi) bambini, allora non è più una guerra, non il conflitto tra due eserciti o tra un esercito e una organizzazione militare, terroristica o di qualsiasi altro tipo. Se continui a uccidere civili, se in pochi mesi quella terribile ferita ricevuta il 7 ottobre la trasformi in una feroce rappresaglia che sta spargendo sangue innocente, sei solo un criminale di guerra. Null’altro. E non conta né come ti chiami né qual è la tua storia passata, né serve il basso tentativo di vittimizzarsi per giustificare l’orrore, così come non serve nemmeno continuare a inquinare maldestramente il dibattito con l’abuso della parola antisemitismo, perché non ha alcun senso.

Chi scrive non ha mai avuto idee o pulsioni antisemite, ha sempre onorato la memoria della Shoah e contestato duramente anche chi, a volte solo per ottusità ideologica, mischiava le carte e giustificava attentati e atrocità, mettendo insieme contesti storici diversi. Pertanto, non vi è alcun sentimento simile a guidare il pensiero appena espresso. Cosa c’entra, infatti, l’antisemitismo con la critica legittima a uno Stato, quello israeliano, che ha ampiamente attraversato il confine della ferocia? Assolutamente nulla ed è sciocco anche solo evocarlo. Piuttosto, i rappresentati di Israele e i loro sostenitori dovrebbero interrogarsi sull’attualità del significato della parola genocidio, perché di questo si tratta. L’offensiva in corso in Palestina, i massacri di profughi, di civili, la loro persecuzione continua, vanno oltre l’obiettivo, nemmeno tanto nascosto, di svuotare la Striscia di Gaza e cacciare via i suoi legittimi abitanti. È un massacro continuo contro un popolo e se non è genocidio allora ci somiglia molto. E non c’è nulla che lo giustifichi, nemmeno la sanguinosa ferita del 7 ottobre.

Ugualmente, non c’è nulla che giustifichi l’ingerenza spregiudicata dell’ambasciatore israeliano a Roma, Alon Bar, sul diritto di espressione del pensiero tutelato dalla Costituzione italiana. Un ambasciatore dovrebbe intervenire qualora dovessero essere minacciati i diritti di un proprio connazionale in un territorio straniero, e non per contestare il diritto di parola di un cittadino italiano. Definire “odio” le parole di un cantautore, che ha semplicemente espresso la sua voglia di pace, oltre a essere una fastidiosa ingerenza, è anche un grottesco controsenso, visto l’odio che l’esercito israeliano, i suoi comandanti, il premier Netanyahu stanno spargendo sulla pelle e sulla vita di migliaia di persone innocenti. Il disprezzo per il pensiero democratico da parte di Israele è ormai una costante, anche in patria, e si traduce nell’ostilità verso chiunque non appoggi o critichi le politiche del premier e l’operazione militare a Gaza.

Un esempio è la decisione di Israele di negare l’ingresso nel Paese alla relatrice speciale delle Nazioni Unite, l’italiana Francesca Albanese che, ad Adnkronos, commenta così: “Sono due anni che Israele mi nega di fare il mio lavoro come chiesto dall’Onu non facilitando il mio ingresso nel Territori palestinesi occupati. E sono 17 anni che lo fa nei confronti di tutti i relatori speciali che hanno ricoperto questo mandato”. La politica muscolare di Netanyahu, dunque, non accenna a fermarsi, sorda agli appelli che finalmente (dopo lungo silenzio e colpevole ignavia) parte della comunità internazionale sta lanciando affinché si cessi il fuoco e si cominci a trattare per la pace. Questa politica muscolare, evidentemente, piace anche a parte delle comunità ebraiche italiane, come ad esempio quella milanese, guidata da Walker Meghnagi, personaggio noto per le sue idee di destra e per la sua ammirazione per Meloni e La Russa. Meghnagi ha accusato il cantautore Ghali di aver dimenticato che “questa guerra è il prodotto di quanto successo il 7 ottobre”.

Ancora una volta, si tende a usare la memoria, quella che evidentemente non viene esercitata concretamente (e su questo qualcuno all’interno del mondo ebraico italiano ha aperto una riflessione), per mistificare la realtà e giustificare l’orrore. Ancora una volta si prova a scrivere solo un pezzo della realtà, dimenticando che il 7 ottobre non è l’inizio della storia, ma solo un punto, terribile, di una lunga scia di sangue, alla quale anche Israele ha contribuito ampiamente. Con la sua operazione “Piombo fuso”, con le bombe, con le incursioni e le esecuzioni sommarie, con le privazioni e le umiliazioni che, da anni, riserva a qualche milione di persone. Il 7 ottobre, peraltro, non è un attentato compiuto dai civili palestinesi, ma un terribile attentato compiuto da Hamas. La risposta di Israele, invece, è una guerra totale e senza regole, che ha più la forma di una vasta rappresaglia, ma che nasconde una strategia precisa e pericolosa. Non solo per la Palestina, ma anche per Israele, per il Medio Oriente e per il mondo. La spirale insensata di sangue e violenza, infatti, non porta mai a nulla di buono per nessuno degli attori coinvolti e per quelli che al momento osservano.

Un’ultima parentesi a margine, infine, la concediamo all’amministratore delegato della RAI, Roberto Sergio, autore di un comunicato che è difficile definire in modo elegante e che è stato fatto leggere in diretta alla remissiva Mara Venier per distanziarsi dalle parole di Ghali, ossia da quella sacrosanta voglia di vedere pace e di fermare il genocidio: “Ogni giorno i nostri telegiornali e i nostri programmi – scrive Sergio – raccontano, e continueranno a farlo, la tragedia degli ostaggi nelle mani di Hamas oltre a ricordare la strage dei bambini, donne e uomini del 7 ottobre. La mia solidarietà al popolo di Israele e alla Comunità Ebraica è sentita e convinta”.

Una vergognosa opera di censura e di mistificazione, ma soprattutto una candida ammissione della parzialità dell’informazione RAI, che, come ha ricordato Sergio, non dà alcuno spazio agli eccidi commessi da Israele e a quel numero in costante aggiornamento, che ha già superato la cifra delle 28.000 vittime civili a Gaza. Se non è genocidio, allora che trovino un modo per definirlo, perché nasconderlo non è più possibile, nonostante la RAI, i suoi padroni, i suoi servi e alcuni tristi esponenti delle comunità ebraiche italiane.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org