Pino Maniaci è un giornalista siciliano, un conduttore televisivo, un uomo da molti anni schierato contro cosa nostra, attraverso il suo giornalismo d’inchiesta. Pino Maniaci è uno di quei giornalisti che non esprime opinioni nei salotti televisivi, ma scende sul campo, si sporca le mani, denuncia, apre i vasi di pandora scoprendo cose che scatenano conseguenze impreviste e non controllabili, come accaduto per l’inchiesta sulla mala gestione dei beni sequestrati dalla sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, sotto la presidenza dell’ex giudice Silvana Saguto. Le vicende sono state raccontate anche nella serie originale Netflix del 2021, intitolata “Vendetta – guerra nell’antimafia”, che vede protagonista lui stesso, autore di quell’inchiesta.

Pino Maniaci, nel 1999, rileva l’emittente televisiva Telejato, un’emittente regionale di televisione comunitaria, di proprietà dell’Associazione culturale Marconi, con sede a Partinico, nota soprattutto grazie a Pino per le sue campagne contro cosa nostra. Qualche giorno fa, attraverso i social, il giornalista pubblica un video e scrive questo annuncio accorato: “5 maggio. Vi dice niente questa data? Il 5 maggio del 2016 un pezzo della magistratura aveva deciso di sequestrare Telejato perché ci eravamo permessi di scoperchiare il vaso di pandora delle misure di prevenzione di Palermo, portando a galla il sistema Saguto. Da allora ne è passato di tempo e di cose ne sono successe. Abbiamo difeso questa televisione con le unghie e con i denti, permettendole di restare accesa nonostante la macchina del fango, le malelingue, i ripetuti tentativi di chiusura. Oggi ci troviamo ad affrontare l’ennesima battaglia, forse la più dura di tutte. Sì, perché stavolta a metterci i bastoni fra le ruote non è né la mafia né la falsa antimafia ma lo Stato. Il motivo? Il passaggio al nuovo digitale terrestre: per continuare a trasmettere serve un contratto di circa quarantamila euro l’anno, cifra astronomica per le tasche di Telejato, che essendo una tv comunitaria, a conduzione familiare, vive esclusivamente di quei pochi soldi derivanti dalla pubblicità”.

“Non abbiamo mai ricevuto finanziamenti pubblici – scrive Maniaci nel suo lungo post – e la nostra informazione è sempre stata gratuita per tutti e tutte, tant’è che le nostre inchieste hanno fatto il giro del mondo e noi non abbiamo ricevuto in cambio mai niente, anzi: ci siamo presi le bastonate, siamo stati vittime di decine di attentati e abbiamo rischiato la vita. Ma siamo sempre andati avanti, perché per noi il giornalismo è una vera e propria missione. E ora? Non possiamo pensare che tra pochi giorni sarà un decreto ministeriale a metterci il bavaglio. Abbiamo cercato alternative, potenziando il web e avviando lo streaming del nostro canale su telejato.it. Tuttavia, comprendiamo che gran parte del nostro pubblico è composto anche da persone meno avvezze alla tecnologia, e che vorrebbero continuare a seguirci in tv. È anche per loro che vogliamo continuare a trasmettere. Aiutateci a superare questo ennesimo ostacolo, se così possiamo definirlo. Ogni piccolo contributo è preziosissimo. Non lasciateci soli”.

Per capire meglio cosa sta accadendo abbiamo parlato direttamente con lui, raggiungendolo al telefono. In sostanza Telejato, per una serie di motivi non addebitabili a Pino Maniaci, non è riuscita ad approdare a quella che era la graduatoria per il nuovo digitale terrestre. Ci fa capire che sono riusciti ad andare avanti solo quelli che hanno una potenza economica elevata. “Le frequenze che hanno dato per le televisioni sono diminuite – esordisce Pino -, tanto che in Italia, e non ne parla nessuno, si stanno spegnendo (e già molte sono spente) più di 400 emittenti; insomma, una vera e propria carneficina”. “Telejato – continua – può, anzi potrebbe approdare al nuovo digitale terrestre solo se si trovasse lo spazio di un gestore. La Rai e Mediaset sono i gestori egemoni. In Sicilia è presente la Rai, ma non ha nessuno spazio disponibile per far accedere. Vi sono, nell’isola, altre due frequenze libere, una per Palermo e provincia e un’altra a Messina (TGS), che possono ricevere televisioni per poter trasmettere. Il Ministero dello Sviluppo Economico dice che Telejato può risalire questa graduatoria di esclusione solo se uno dei gestori di rete che ha spazio gli fa un contratto”.

Maniaci ci riferisce che ci sarebbe la disponibilità, da parte di chi ha lo spazio, di concludere il contratto, ma solo dopo aver “spento” Telejato; in seguito il Ministero si riserverebbe di decidere con quali misure poter accedere. “Il costo per la sola provincia di Palermo (Telejato in questo momento è regionale) è di 3.500 euro al mese – afferma il giornalista –, qualcosa come più di 40.000 euro l’anno. Costi proibitivi. Andare e accedere a questa piattaforma per Telejato è impossibile se non c’è una raccolta fondi o qualcuno che ci viene in soccorso. Con questa situazione siamo destinati a sparire”. Anche con il potenziamento dei social, del sito internet, con lo streaming h24, rimarrebbero esclusi, senza la televisione, quegli utenti di oltre sessant’anni, poco avvezzi alle nuove tecnologie e che sono lo zoccolo duro di Telejato. “Stiamo cercando in tutti i modi di raccogliere questi fondi per rimanere vivi, almeno nella nostra provincia, ma abbiamo bisogno di aiuto. Del resto rimarremmo attivi in quello che definisco il triangolo delle Bermuda della mafia: Partinico, Corleone e Cinisi”.

Alla domanda su cosa lo ha spinto a continuare ad occuparsi di mafia, dopo tutto quello che ha subito (pestaggi, uccisione dei suoi cani, attentati), risponde candidamente: “Ho sempre sognato una Sicilia migliore da consegnare ai miei figli e ai miei nipoti. Dobbiamo rimanere vivi, per una Sicilia libera da questo cancro mafioso. Voglio regalarti un ricordo che mi procura anche molta tristezza. All’inizio di questa avventura, ventitré anni fa, ho tirato fuori dalla scuola mia figlia Letizia, che voleva studiare. Mi è stata accanto nonostante tutte le difficoltà, quello che è successo, il bordello mediatico, senza mai abbandonare la televisione e suo padre. Lei, ormai, ha il giornalismo nel sangue, insieme alla televisione e alla lotta contro la criminalità organizzata. Ho quasi 70 anni, potrei dire che me ne vado, che smetto. Ho una pensione, seppur minima, il mio lavoro l’ho fatto e invece continuo a battermi per consegnare a lei i miei ideali. Ormai è lei che vuole continuare le mie battaglie e, quindi, Telejato non deve spegnersi, deve continuare a vivere, perché è stata e continuerà ad essere il baluardo contro la mafia e questi pezzi di merda dei mafiosi”.

Prima di congedarlo gli chiedo come vede il futuro e se pensa che ci siano ancora, come scrisse Sciascia, i professionisti dell’antimafia. Mi risponde che a luglio, per l’anniversario della strage di Capaci, andrà in onda una sua dichiarazione a fronte della stessa domanda che un giornalista gli ha rivolto. “Ci sono ancora i professionisti dell’antimafia. Ormai è tutto antimafia, la sanità, la scuola, la politica. Si parla di antimafia per non parlare di nulla. Dov’è finito lo spirito di trent’anni fa? Dov’è lo spirito del comitato dei lenzuoli bianchi? Dov’è quella indignazione, quella ribellione che ha voltato la faccia a cosa nostra? Cosa è rimasto? Poco o nulla. La vera antimafia si porta nel sangue, nel cuore, nelle azioni quotidiane. Quella voglia di combattere è finita”.

Danilo Dolci, che le zone di Pino Maniaci le ha conosciute bene, scrisse: “Se l’occhio non si esercita, non vede. Se la pelle non tocca, non sa. Se l’uomo non immagina, si spegne”. Pino Maniaci ha visto, ha saputo, ha raccontato perché si è esercitato, ha toccato con mano, ha immaginato. Facciamo in modo che la sua informazione non si spenga.

Per chi volesse, ecco come poter donare: GoFundMe (clicca qui); PayPal (clicca qui); Iban: IT28G0200843490000106383925 intestato a Associazione Culturale Marconi.

Vincenzo Lalomia -ilmegafono.org