L’omertà regna sovrana anche negli angoli più bui di questa società. Ma prima o poi la verità viene fuori dal pozzo, come racconta un celebre quadro del 1895 di Jean-Léon Gérôme. È solo questione di tempo. La giustizia poi ha tempi lunghissimi e questo, disgraziatamente, Ilaria Cucchi ha avuto modo di sperimentarlo sulla propria pelle. Da quel 22 ottobre 2009, quando suo fratello Stefano perse la vita all’ospedale “Sandro Pertini” di Roma, mentre era in custodia cautelare, si sono susseguiti nel tempo tutta una serie di scenari giudiziari, uno più sconcertante dell’altro.

Sono bassi gli occhi del vicebrigadiere Francesco Tedesco, uno dei cinque carabinieri coinvolti nel processo bis sulla morte di Stefano Cucchi, durante l’interrogatorio che molto probabilmente rimarrà nella storia, davanti alla Corte d’Assise mentre racconta il pestaggio del 31enne romano avvenuto quasi 10 anni fa. Sempre bassi sono anche i tanti colpi che ha ricevuto Ilaria, la sorella, in questi interminabili anni nei quali l’attesa della giustizia sembrava a tratti inesauribile.

Echeggiano forti le parole di Tedesco: “Per me questi nove anni di silenzio sono stati un muro insormontabile”. Un muro di omertà che, grazie a questo racconto in aula da parte del supertestimone del processo Cucchi, inizia a sentir tremare le sue fondamenta. L’evidenza era lì, davanti agli occhi di tutti, e per troppo tempo i segni dell’inconfutabile violenza subita hanno convissuto affianco a parole come “assenza di prove” o “presunta morte naturale”.

Sono stati colpi durissimi quelli subiti dalla famiglia Cucchi in questi lunghi e angosciosi anni in cui lo Stato e il sistema di diritti che dovrebbero essere garantiti, tra omissioni e depistaggi, hanno perso credibilità. “Mio fratello, possiamo dire, è morto anche di indifferenza”: queste le ultimissime dichiarazioni di Ilaria, colei la quale è diventata un vero simbolo di resistenza e lotta per la verità. E la verità, si sa, trionfa da sola.

È la menzogna, invece, che ha bisogno di complici. E mai come in questo caso di complici ce ne sono troppi. La testimonianza di Tedesco non è altro che la prima crepa di un muro consolidato da troppi anni ormai. Ma adesso devono venire fuori tutte, come le righe di un puzzle che man mano si animano intrecciandosi per restituire l’unico riscatto possibile alla memoria di Stefano Cucchi e soprattutto alla sua famiglia: la giustizia.

Alina Nastasa -ilmegafono.org