A volte, i discorsi incentrati sul futuro, che evocano possibili scenari di cambiamento, sono il mezzo più potente per indurre gli altri a concentrarsi sul domani, a mettere da parte il passato e le sue lezioni e a dimenticare di osservare attivamente il presente. O meglio, quel presente che non è funzionale al futuro. Lo scrittore Ennio Flaiano diceva: “Ho una tale sfiducia nel futuro, che faccio progetti solo per il passato”, una frase che ha una portata rivoluzionaria rispetto al mondo attuale, costantemente proiettato in avanti, sul piano tecnologico e, almeno teoricamente, su quello delle promesse politiche. Di atti rivoluzionari, in un Paese vecchio (non solo anagraficamente) come l’Italia, avremmo un enorme bisogno. Perché questo è un Paese in cui il nuovo non avanza o, peggio ancora, non è mai realmente nuovo, ma molto più comunemente è una replica triste o perfino nauseante di un copione già visto.

L’Italia è una nazione di contrapposizioni continue e polarizzazioni, dove la divisione in fazioni avviene sotto l’ombrello malconcio di idee in naftalina, di volti inediti dalle voci vecchie o di volti restaurati che provano a riproporsi come nuovi. Vale in ogni ambito. Vale ancora di più in politica. La Sicilia è da sempre laboratorio di sperimentazione, officina di tendenze nazionali e di possibili alleanze. In queste settimane, quelle che precedono il 23 maggio e le commemorazioni per il trentennale della strage di Capaci, il dibattito politico si è acceso e lo ha fatto mettendo al centro il tema dei rapporti tra mafia e politica. Il fulcro della polemica è la mai finita centralità di Marcello Dell’Utri e Totò Cuffaro nella vita politica dell’isola. Lo ha fatto notare Alfredo Morvillo, ex magistrato e fratello di Francesca Morvillo, giudice e moglie di Giovanni Falcone, uccisa a Capaci con lui e con i tre agenti di scorta Dicillo, Schifani e Montinaro. Lo ha fatto notare anche Maria Falcone, sorella dell’ex magistrato antimafia.

La spasmodica ricerca, da parte dei leader e degli aspiranti candidati del centrodestra siciliano, dell’appoggio o del benestare di Dell’Utri e Cuffaro, due politici che hanno scontato condanne in carcere per mafia, è la prova avvilente di un sistema che non riesce a cambiare. E di una ipocrisia imbarazzante da parte di chi, anche dichiarandosi antimafioso, non prova vergogna a trattare con chi ha contribuito a macchiare la storia politica di questa regione. Ha ragione Claudio Fava quando afferma che il problema non sono Cuffaro e Dell’Utri e la loro voglia di tornare in qualche modo attivi (a patto che abbiano mai smesso di esserlo) nelle dinamiche della politica. È un loro diritto, il diritto di chi ha scontato una pena, di chi è passato dalla galera rispettando una sentenza. Il problema piuttosto sono coloro che rimangono aggrappati a quel totem di potere e influenze che Cuffaro e Dell’Utri rappresentano e le cui ambiguità sono state svelate da condanne definitive, per potersi assicurare pacchetti di voti, consigli, strategie vincenti. In barba alla retorica del cambiamento, alle autoattribuzioni di antimafiosità.

Il nuovo, insomma, anche qui non esiste, come purtroppo non esiste nemmeno dalla parte opposta. Se infatti il valore umano, morale, politico e culturale di Claudio Fava è indiscutibile, è anche vero che la sua candidatura è la prova che anche da questa parte si è rimasti fermi e si è costretti ad aggrapparsi al passato, a un nome spendibile per caratura e serietà, ma che è testimonianza di un vuoto cosmico della sinistra, di una incapacità di rinnovamento complessivo e della disastrosa parabola del PD siciliano. Il problema, tuttavia, non è solo siciliano, ma nazionale. La società italiana nel suo insieme è incancrenita, lo è anche culturalmente e antropologicamente.

Al di là delle promesse di futuro, siamo ancora nel Paese dei Pillon e di chi, come Lega e Fratelli d’Italia, si allarma per una direttiva ministeriale che chiedeva di spiegare ai bambini, in occasione della giornata contro l’omotransfobia (il 17 maggio) cosa sia l’omofobia e quanto sia atroce. Un tema che attiene al rifiuto della violenza e della discriminazione e che pertanto dovrebbe essere trasversale, condiviso, comune. E invece no, invece l’Italia che blatera dagli scranni della politica, così come quella che vomita sui social, è tutta un farneticare sulla teoria gender, tra una battuta omofoba e una dichiarazione di orgoglio per i figli non mandati a scuola o che hanno chiesto di non andare o ancora per i docenti che si sono ribellati, rifiutando di parlarne. D’altra parte, siamo nel Paese dove i gesti reazionari sono acclamati come grandi esempi di disobbedienza rivoluzionaria.

Le ridicole e volgari contestazioni di La Spezia contro il ministro Speranza, accusato di essere un assassino o il responsabile della crisi economica, sono state applaudite sui social dal tetro universo di complottisti, estremisti vari e no vax. Una riedizione sfocata e solo verbale delle monetine a Craxi. Contesti molto diversi certo, ma la stessa demenziale ferocia di una folla che si agita ma che è pienamente parte del sistema, politicamente e ideologicamente allineata. Al punto da nascondere e indebolire, con i propri ottusi comportamenti, qualsiasi ragione critica relativa alle scelte recenti di un governo ibrido e conservatore, che agisce indisturbato sui fronti più importanti, sui quali il popolo degli arditi contestatori dei vaccini, dei fieri assalitori dei sindacati, dei baldi libertari del no green pass, non proferisce parola o al massimo esala un pizzico di fiato impercettibile.

Ci siamo già passati, abbiamo una storia ancora viva di quello che si è presentato come nuovo e rivoluzionario e poi è sfociato in una linfa reazionaria e populista che ha infettato la democrazia. Ci siamo già passati e continuiamo a farci i conti. Perché sebbene questo Paese non sia più quello di trent’anni fa, è anche vero che da un po’ di tempo annaspa dentro una palude opprimente e appiccicosa. E il 23 maggio, dove spesso si vedono più retorica di facciata che sostanza, più commemorazione che memoria, purtroppo ce lo ricorda severamente.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org