Negli ultimi 30 anni, la criminalità organizzata si è evoluta molto più rapidamente di quanto si possa pensare: dalle valigie stracolme di soldi e le auto imbottite di tritolo, si è infatti passati al digitale, al multiverso, alle criptovalute. Proprio per questo motivo, è soltanto con un’azione di contrasto ­“aggiornata”, che sappia sfruttare tutti i mezzi tecnologici attualmente a disposizione, che si può realmente pensare di sconfiggere il sistema di interessi mafioso che, ad oggi, sembra non conoscere limiti. Di questo e tanto altro si è parlato a Udine, la scorsa settimana, in occasione della presentazione del rapporto “Le Mafie nell’Era Digitale”, alla quale hanno partecipato, tra gli altri, il direttore della Direzione Investigativa Antimafia, Maurizio Vallone, e la “Fondazione”, produttrice del rapporto stesso, con la presenza del curatore Marcello Ravveduto e del presidente Nino Foti.

Durante la conferenza stampa che ha concluso l’evento, sono emerse delle criticità che preoccupano non poco gli ambienti dell’antimafia. Come ha ammesso lo stesso Vallone, infatti, se è vero che “tre decenni fa, la mafia metteva le bombe per uccidere i magistrati e le loro scorte”, è altrettanto vero che oggi le mafie lavorano in tutt’altro modo. Esse, infatti, “utilizzano i bitcoins come moneta di scambio per i traffici illeciti; utilizzano piattaforme criptate per le loro comunicazioni; ed infine, si muovono nel mondo del metaverso, dove stanno installando attività imprenditoriali”. Una vera e propria rivoluzione, un’avanzata che rischia di diventare irraggiungibile e priva di controllo se non contrastata in maniera efficace e repentina.

“Lo studio che abbiamo promosso – ha invece affermato il presidente Foti – si pone l’obiettivo di definire i contorni e i contenuti delle modalità con cui le mafie vengono raccontate e si comunicano nel mondo digitale, anche perché siamo certi che sia fondamentale offrire strumenti di interpretazione e comprensione rispetto a tale nuovo ‘muoversi’ della criminalità organizzata in un inedito intreccio tra reale e virtuale”. In questo senso, quindi, l’azione di contrasto non deve essere indirizzata soltanto verso gli esponenti di clan o di associazioni criminali, ma anche verso tutti coloro che simpatizzano per queste realtà o che ne sono in qualche modo vicini. Il mondo dei social, nello specifico, è pieno di contenuti in cui ricchezza, lusso sfrenato e violenza, spesso ottenuti con metodi criminali, vengono esaltati senza alcun controllo; ciò comporta il rischio di invogliare gli altri o, ancor peggio, di accrescere il desiderio di emulazione da parte di individui che altrimenti non avrebbero modo di entrare a contatto con quel mondo stesso.

Ma come si può pensare, quindi, di contrastare tutto ciò? In che modo la giustizia può far fronte ad un’evoluzione sociale e tecnologica da parte della criminalità organizzata? La risposta è più semplice di quanto si pensi: bisogna aggiornare gli investigatori, fare in modo che materie come criptovalute, multiverso e tutto ciò che le circonda non siano più argomenti di nicchia apparentemente incomprensibili ai più, ma diventino a tutti gli effetti una misura di lotta quotidiana alla criminalità, al pari delle intercettazioni e di altre metodologie ben più tradizionali. “Le forze dell’ordine italiane sono le più preparate del mondo nel contrasto alla criminalità organizzata – ha sottolineato Vallone – ma è chiaro che a ogni sfida corrisponde la necessità di adeguarsi”. Per far ciò, è bene realizzare “una stretta alleanza con chi ha conoscenze e competenze in questo mondo nuovo del digitale e dell’informatica, per unirle all’esperienza e all’expertise delle forze dell’ordine italiane nel contrasto alla criminalità organizzata”. In sostanza, “per bloccare le mafie, bisogna avere la capacità di seguire le monete elettroniche”, oltre a essere necessaria una forte “cooperazione internazionale” che possa avvalersi di conoscenze a 360 gradi.

Infine, non bisogna certo dimenticare la grande importanza che istruzione, formazione e cultura, in generale, assumono in queste strategie di contrasto alla criminalità. Bisogna infatti elaborare “progetti di reazione che si radichino nella cultura e nella capacità di produzione di contenuti, da parte della collettività, e soprattutto dei giovani, di resistenza a tali derive”, ha affermato il presidente della Fondazione Magna Grecia, Nino Foti. “Reazioni che – continua Foti – vanno stimolate e, laddove necessario, sostenute e alimentate, anche e soprattutto da chi, come noi, si occupa di tutelare e promuovere il patrimonio culturale immateriale e materiale”. Insomma, per combattere le mafie, oggi più che mai, è necessario adeguarsi a un mondo che cambia sempre più velocemente e con mezzi a disposizione sempre più moderni.

D’altro canto, non può e non deve mancare l’amore per il sapere, per la verità, né l’amore per la legalità e il sogno di un mondo più giusto, più sano, dove possa tornare a sentirsi il fresco profumo di libertà di cui parlava Paolo Borsellino. Questo può avvenire solo se esiste una società civile sempre più in grado di avere accesso a mezzi di informazione trasparenti e soprattutto a un’istruzione completa, che non escluda nessuno. Perché se è vero che la tecnologia aiuta e permette di progredire, è altrettanto vero che serve a poco senza quella ricerca di conoscenza e di sapere che eleva e fa progredire l’essere umano. A questa evoluzione necessaria della società, deve partecipare anche l’antimafia, che è chiamata al duro compito di aggiornare i mezzi di lotta, per non restare indietro e continuare a opporre resistenza attiva alle mafie in tutte le loro forme.

Giovanni Dato -ilmegafono.org