Le infiltrazioni mafiose al nord non sono certo una sorpresa, eppure, nonostante ciò, il tema, sul piano generale, continua a passare inosservato, almeno fino a quando la giustizia non riesce a scoprire quanto di marcio accade dietro le quinte. Qualche settimana fa, infatti, una mega operazione, coordinata dalla Dda di Milano e realizzata in collaborazione con la Squadra mobile del capoluogo lombardo e con la Guardia di Finanza di Como, ha portato alla luce una fitta rete di infiltrazioni mafiose in tutto il nord Italia. Dalle indagini è emerso come la ‘ndrangheta sia riuscita ad infiltrarsi praticamente dappertutto: nel tessuto sociale, economico, ma anche politico e imprenditoriale. In poche parole, è come se la criminalità organizzata avesse trovato un “nuovo Sud” da spolpare e da sfruttare a proprio vantaggio, ovviamente molto più ricco e molto più profittevole, soprattutto meno resistente, molto più morbido e permeabile.

I capi d’accusa sono tanti, così come i protagonisti fermati nel corso dell’operazione: si va da funzionari pubblici accusati di essere in combutta con le ‘ndrine, tra cui Antonio Tufano (consigliere comunale a Como per Fdi), ad ex amministratori, come l’ex sindaco di Lomazzo, Marino Carugati, e un ex assessore della stessa giunta, fino ad amministratori ancora in carica, come il sindaco di Ferno, Filippo Gesualdi, arrestato per presunto scambio di voti politico-mafioso. Con loro, naturalmente, a finire dentro la rete degli inquirenti sono stati anche diversi membri della cosca Molè, potentissimo clan della piana di Gioia Tauro.

Un vero e proprio terremoto giudiziario, insomma, che non può certo essere ignorato o fatto passare in silenzio. Ormai si sa e viene ripetuto da tempo: la mafia al Nord non è cosa sporadica o rara, ma, al contrario, è diventata una normalità assoluta, con complicità locali, con partecipazione di autoctoni e non più, come si diceva, fenomeno importato da criminali dall’accento meridionale. Tanto è vero che, nell’elenco degli indagati, non è difficile trovare nomi di gente nata e cresciuta nei luoghi di riferimento, a dimostrazione del fatto che anche da quelle parti c’è chi non disdegna di fare affari con la criminalità per trarne interessi sempre maggiori.

Come ad esempio, secondo quanto sostengono gli inquirenti, l’ormai ex militare della Gdf, Michele Contessa, di Olgiate Comasco, arrestato nel corso della stessa inchiesta con l’accusa di essere stato per diverso tempo un “soggetto a libro paga della famiglia Salerni” (altro clan mafioso calabrese) e di aver compiuto, in cambio di denaro e rimborsi benzina, “atti contrari ai doveri d’ufficio”, come ad esempio la “comunicazione di informazioni riservate” a favore proprio del clan. Questa mega inchiesta non è certamente l’unica relativa al nord Italia, ma è sicuramente una delle più importanti e cospicue, perché permette di mettere a nudo lo scenario attuale di complicità e convergenza tra politica, imprenditoria e clan. E ancora una volta mostra la fragilità del Nord, dove la mafia oggi, rispetto al Sud delle avanguardie e dell’antimafia militante, trova meno resistenze e riesce a entrare nel settore politico e soprattutto imprenditoriale come fosse una “lama nel burro”.

Ecco perché inchieste come queste rappresentano preoccupanti campanelli d’allarme che tutte le forze politiche e la cittadinanza delle regioni settentrionali dovrebbero ascoltare. Come fanno in tanti, come fanno le associazioni e alcuni giornalisti o alcuni amministratori, da tempo impegnati nella denuncia delle infiltrazioni mafiose nel Nord. Di questo avviso sono anche i sindaci di ben 16 comuni limitrofi alle aree coinvolte dall’inchiesta, i quali, domenica scorsa, si sono riuniti in un corteo per la legalità e per dire “no” alle mafie. “Insieme – ha affermato il sindaco di Cermenate, Luciano Pizzutto – abbiamo organizzato questo evento in quindici giorni” perché volevamo mostrarci “uniti contro le mafie”.

“In vista dei tanti appalti che, anche grazie ai fondi del nostro Piano nazionale di ripresa e resilienza, stanno per arrivare, l’attenzione oggi va tenuta molto, molto alta”, ha aggiunto Monica Forte, presidente della Commissione Antimafia di Regione Lombardia. “Questo momento – ha detto riferendosi al corteo organizzato dai sindaci – manda un messaggio molto forte alla criminalità organizzata, perché qui, oggi, si sta dicendo che si è contro” le infiltrazioni mafiose e l’illegalità in ogni suo genere. È molto importante dire no alla mafia e farlo pubblicamente, scendendo in piazza uniti, ma ancor più vigilando e attuando gli strumenti di controllo contro mafie e corruzione, per difendere i territori e nutrire la speranza nell’affermazione della legalità. Anche se, considerando la mole e la periodicità con cui queste operazioni vengono effettuate (oltre al coinvolgimento di tanti uomini delle istituzioni), è probabile che di speranza ce ne vorrà davvero tanta. E di impegno e consapevolezza, almeno il doppio.

Giovanni Dato -ilmegafono.org