Sono tante le cose che si possono scrivere in un editoriale di fine anno, tanti gli argomenti e le valutazioni su un 2012 che per gli italiani si conclude in un clima di grande incertezza e preoccupazione. Alla radice di ogni ragionamento, però, resiste una valutazione che, a parere di chi scrive, è centrale: quanto e in che modo sono cambiate le cose rispetto alla fine del 2011? Di sicuro ci sono state novità importanti: sul piano della politica internazionale, ad esempio, spicca la decisione delle Nazioni Unite di riconoscere la Palestina come Stato osservatore. Una svolta storica, che ha visto l’Europa protagonista, proprio al termine dell’ennesimo massacro scientificamente compiuto dal governo israeliano nella striscia di Gaza. La riconferma di Obama è un altro bel segnale di continuità che proviene dagli Usa, dove è stato scongiurato il pericoloso ritorno al potere dei repubblicani.

Adesso tocca al presidente americano portare a compimento quella promessa che ha fatto sperare il mondo che lo ascoltava, durante il suo discorso post-investitura: “Il meglio deve ancora venire”, ci ha detto. Speriamo sia vero, saremmo lieti di vedere dissipati tutti i nostri dubbi sulla fondatezza di questo suo nobile proposito, vista anche la difficile situazione internazionale, in particolare in Siria e in Egitto. In Italia, invece, la speranza è rimasta nascosta, intrappolata nelle gabbie di una situazione ormai intollerabile, esasperata dal decadimento definitivo di una classe politica che, ad ogni livello, locale o nazionale, assume sempre più la fisionomia di una metastasi che si rigenera inesorabilmente. La classe dirigente di questo Paese non ha imparato nulla dal passato, ha cercato di apparire differente, spesso riciclandosi, ma ha mantenuto intatti i contorni luridi e viziosi che Tangentopoli aveva smascherato.

Sul filo continuo che unisce corruzione e potere, da Nord a Sud, scorre il virus che blocca lo sviluppo di un’economia sana, che sappia restituire ai cittadini il frutto dei propri sacrifici e del proprio lavoro, ridando dignità ed ossigeno ad un welfare ormai agonizzante. Nel buio degli scandali e delle inchieste che hanno mostrato la trasversale impudicizia degli amministratori, così come nell’umido di una politica nazionale molle e malata, annientata dalle conseguenze nefaste di anni di non governo, l’esperienza Monti si è mossa con la delicatezza di un elefante. La preferenza accordata alle banche e l’applicazione rigida e forsennata di tutti i rimedi che sono alla base della violenza del capitalismo e del ridimensionamento progressivo dei diritti dei cittadini, ha fomentato una rabbia civile che, solo grazie alla maturità di una società che ha vissuto anni più duri e drammatici, non è esplosa in forme violente e sanguinose.

In questo clima, la nota positiva è stata l’emergere di una forte richiesta di cambiamento, radicale, netto, anche se confuso nei modi, nelle forme, nell’impianto culturale di fondo. Un cambiamento che, però, tarda a mostrare la sua fisionomia precisa, rimanendo mescolato tra la spinta populista di Grillo (a cui va riconosciuto comunque il merito di aver smosso le acque di un potere adagiato nella sua sfacciata autoreferenzialità) e la legittimazione dello strumento delle primarie come luogo di selezione e di partecipazione. Adesso c’è anche il movimento arancione di De Magistris e Ingroia che apre un nuovo scenario, che potrebbe raccogliere l’adesione della borghesia culturale e sociale più illuminata, dei movimenti, di chi vuole un’alternativa ai partiti, priva però di quell’insopportabile e strillato populismo con cui Grillo ha indelebilmente marchiato un movimento che, con altri toni e criteri di dibattito interno, avrebbe probabilmente una strada più lunga e rosea dinnanzi a sé. E forse anche un consenso più maturo e meno d’istinto o di protesta.

Staremo a vedere cosa accadrà alle prossime elezioni politiche, certo è che si fa un po’ fatica a percepire una ventata di novità quando poi ci si trova davanti, come candidati delle due forze principali, Bersani e Berlusconi, che di nuovo non hanno nulla. Se ci aggiungiamo una possibile terza candidatura, con Mario Monti in campo, la percezione di un non rinnovamento diviene  ancor più netta. Se la situazione politica è questa, con strategie, ragionamenti, valutazioni e improvvisi colpi di scena, sul piano sociale, cioè sul piano della vita quotidiana della gente, la situazione è invece molto più monotona. Ed è una monotonia negativa, fatta di stenti, di una crisi che adesso fa sentire con maggior drammaticità i suoi effetti. Il 2012 è stato un anno nerissimo, con licenziamenti, chiusure, smobilitazioni, un tasso di disoccupazione elevatissimo che colpisce i giovani, ma anche gli over 50, quelli che difficilmente riescono a rientrare nel mercato del lavoro.

L’emigrazione interna è tornata a livelli che si pensava ormai superati e non riproponibili, la sensazione di incertezza e di angoscia ha pervaso le famiglie, condizionato i rapporti sociali e perfino la sfera individuale dei sogni, delle speranze. L’Italia resiste, ma il divario tra chi ha troppo e chi non ha è cresciuto e comincia a fomentare tensioni che il governo Monti ha finito con l’esasperare. Il vivere quotidiano della popolazione comune è fatto di ostacoli e di ritmi lontanissimi da chi continua a manovrare denaro e ad occuparsi del superfluo, del negoziabile, del plus. Nei piani medi e in quelli bassi del Paese si sopravvive, si ha a che fare con ciò che non è negoziabile, con l’essenziale, con il minimo. In questo scollamento si annidano visioni opposte, indifferenze letali per la democrazia e per il rapporto sano tra elettorato e classe dirigente.

Il timore è che ciò, ancora una volta, finisca per disintegrare i germi di cambiamento che pure, nonostante i funesti rigurgiti di oscurantismo, cercano di farsi spazio offrendo un po’ di ossigeno a chi non si arrende e, anzi, trova maggior rabbia e forza per svegliare chi sonnecchia o dorme assopito nel giaciglio sotterraneo della rassegnazione. L’anno che verrà potrà darci un primo risultato sulla consistenza e sull’effettiva realizzazione di una società diversa, in parte plasmata da queste spinte al cambiamento. Di questi tempi, nel 2013, sapremo qualcosa in più, avremo visto, vissuto e potremo scriverne. Sperando di farlo in un clima più positivo e meno drammatico. Noi speriamo di esserci, di essere ancora qui a raccontare, attraverso le pagine di quello che è un settimanale che, nel suo piccolo, prova a riflettere, interrogarsi, proporre punti di vista e di osservazione su ciò che ci circonda, allo scopo di creare un dibattito, uno scambio di conoscenze che possa contribuire ad una sintesi virtuosa e utile.

L’anno che si chiude, per noi è stato più che positivo. Abbiamo ripreso il nostro cammino e siamo cresciuti ancora, nel numero dei collaboratori come nella quantità e nella qualità dei contenuti proposti, con l’apertura anche di un nostro spazio sui principali social network. Abbiamo assistito con grande entusiasmo al notevole aumento di utenti che ci seguono fedelmente ogni sabato e anche durante la settimana, abbiamo ricevuto il vostro consenso, proposte più che interessanti finalizzate ad un nostro definitivo salto di qualità (a cui stiamo pensando). Per tale ragione, ciascuno dei nostri redattori ha risposto con un maggiore impegno, con maggiore responsabilità, attenzione e voglia di sacrificarsi per quella che altro non è che una missione culturale e politica, senza un ritorno personale o di gruppo. Questa purezza critica e questa libertà di coscienza sono la nostra firma e la caratteristica principale che ci guiderà anche in questo 2013 ormai alle porte. Ci auguriamo e vi auguriamo di trascorrerlo al meglio, tutti insieme, sperando di ritrovarci qui tra un anno con qualche buona notizia e con qualche altra soddisfazione da condividere.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org