Non è una questione di antipatia o di lontananza siderale dai suoi modi o dalle sue idee: di Beppe Grillo mi disturba la stregonesca capacità di prendere la delusione della gente e il vuoto della politica tradizionale (o meglio della sua più misera evoluzione) e di mescolarli in una salsa rancida dalle sembianze ingannevolmente prelibate. Una salsa che il popolo sta ingoiando per saziare la propria fame di auto-purificazione, per masticare l’urgente fabbricazione di un alibi che pesa come un macigno sulla propria coscienza. Non sono d’accordo con chi sostiene che il Movimento 5 Stelle stia raccogliendo i voti persi dal centrosinistra e che proprio in quell’area vanno ricercate le origini della sua crescita. Senza dubbio, Grillo in Sicilia ha raccolto il voto anche di molti cittadini che, poco convinti di votare per il Pd o per le formazioni più a sinistra, hanno preferito fare una scelta di protesta, chiara, eloquente, sulla quale, questa volta seriamente, l’elefantiaca dirigenza del centrosinistra dovrebbe interrogarsi.

Non solo il Partito Democratico, che dovrebbe analizzare al meglio il voto mettendo per un attimo da parte l’entusiasmo per la vittoria di Crocetta, ma anche le formazioni della sinistra, a cui l’ennesima bocciatura nell’isola dovrebbe far riflettere sulla necessità di svecchiare non tanto gli organici quanto le rigidità e gli anacronismi di cui spesso si trovano prigioniere. Detto questo, personalmente, ritengo che Grillo peschi di più tra quella massa ondivaga e vagamente conservatrice che a Sud votava Berlusconi e An e a nord votava Lega. Una massa di elettori che ama il leader del Mov5Stelle perché mostra tutti i lineamenti propri del leader autoritario, che dice di voler salvare la democrazia ma lo fa con ampio uso dell’autorità, della demonizzazione dell’avversario, della generalizzazione qualunquista, del rifiuto del confronto, dei diktat a cui bisogna obbedire acriticamente, pena l’esclusione, l’insulto, l’isolamento.

Eppure c’è un caos di contraddizioni palesi nel fenomeno Grillo, nel suo essere leader senza partito, prodotto del web, che è territorio indiscusso di democrazia e di libertà, baluardo resistente della libera informazione, ma anche pericoloso contenitore di anarchia incolta, costiera frastagliata bagnata troppo spesso dalle onde del “sentito dire”, delle “bufale”, delle notizie false, buttate lì come verità assolute, consumate così rapidamente che persino le smentite più evidenti faticano a raggiungerle prima che si siano trasformate in credenza popolare. Un terreno democratico, senza troppi confini, dove manca il filtro del confronto armonico, necessario, “professionale” con la realtà. Grillo, guidato dal suo abilissimo mentore Casaleggio, riesce a far passare le sue urla e i suoi improperi per verità assoluta, indiscutibile, instaurando in chi lo ascolta un processo di rimozione collettiva, di lobotomia della coscienza storica e dell’analisi politica.

Lui, celebrità nata della televisione che sputa sulla “madre” che lo ha partorito, dettando regole restrittive ai suoi adepti, vomitando velenosi rimproveri a chi mette piede nei talk show per parlare di politica, di programmi, di come cambiare il Paese, in poche parole per confrontarsi con gli altri, per far conoscere le proprie idee ai cittadini. Decaloghi, regole, margini ristretti da cui è rischioso provare ad allontanarsi. Insulti a giornalisti seri come Lerner e Formigli, a cui viene affibbiata l’etichetta di servi dei padroni, solo perché si lavora assunti da qualcuno, quindi la gioia per una eventuale chiusura di 70 giornali, la voglia di distruggere per sempre i partiti e rimpiazzarli con la rete, con la partecipazione diretta del popolo del web al programma di governo e alla gestione della cosa pubblica.

E poi la mafia, il cui cappio opprimente sull’economia del Paese viene minimizzato e ammorbidito (“strozza meno dello Stato”, chiede “solo” il pizzo, ecc.), i toni omofobi e misogini di certe sue affermazioni (come nel caso del richiamo alla Salsi per la partecipazione a Ballarò), le uscite razziste e xenofobe nei confronti dei migranti, il suo no alla cittadinanza per i figli di immigrati che nascono in Italia, ecc. Un bombardamento di parole, l’uso sapiente dei mezzi di comunicazione, l’insinuazione nei cittadini della logica del sospetto come elemento di scelta che precede la valutazione sulla fondatezza di quello stesso sospetto, il largo impiego della battuta, del format dello show di successo per attirare elettori/utenti/fan. La strategia dell’ex comico genovese, bisogna ammetterlo, è perfetta, perché riesce a nascondere le sue tante sbavature grazie al rifiuto del contraddittorio, alla vis comica e populista insieme dei suoi discorsi e ad una pericolosa idolatria da parte della maggioranza dei suoi seguaci internauti.

A ciò si aggiunga il degrado dei partiti, che ne ha intaccato l’immagine, mettendo in discussione la loro stessa utilità, il loro fondamentale ruolo di garanti della democrazia. Il Movimento cresce, grazie anche ad una buona azione nelle città, soprattutto sul piano della denuncia e delle iniziative a difesa dell’ambiente e del territorio, ma cerchiamo di non commettere nuovamente l’errore di credere a tutto quello che un comunicatore dalla battuta facile ed efficace, dotato di molta arroganza: la realtà, infatti, non è come qualcuno la dipinge. Nei territori, da molto prima che nascesse il fenomeno Grillo, ci sono associazioni ambientaliste, parrocchie e perfino gruppi politici, legati ai tanto denigrati partiti, che combattono a viso aperto contro sistemi oppressivi e tentativi di saccheggio ambientale.

Ci sono movimenti che sfidano la mafia laddove il Mov5Stelle non si è mai visto fino a pochi mesi fa. C’è un’Italia che cammina e lotta, ci sono giornalisti coraggiosi che denunciano, rischiano, vivono sotto scorta per una parola scritta, per una verità svelata. E sono pagati, spesso poco, ma sono fortunati quando hanno un giornale che concede spazio, che assicura visibilità e, in qualche modo, protezione. E non sono servi di alcuno, semplicemente lavorano, come tanti in questo Paese. Come ha lavorato Grillo, anche lui pagato, per la Rai o per altre tv. Quello che preoccupa, sinistra o non sinistra, vuoto o non vuoto, stelle  o non stelle, è la dimensione sociologica del cittadino italiano, è la natura di un consenso che, ciclicamente, assicura e consegna il Paese ad un leader che assume la forma di un predicatore, animato da sentimenti distruttivi, da progetti privi di scheletro programmatico, vestiti con un abito colorato di populismo sotto il quale c’è la nuda assenza di contenuti politici.

Vista la delicatissima fase che stiamo vivendo, più che Grillo, dunque, a far paura sono gli italiani e l’imbarazzante pochezza di una classe dirigente che ha prodotto questa situazione di deriva culturale e politica. L’Italia si trova con il “grilletto” puntato sulla propria testa. Che è quella di tutti noi. D’altra parte, chi è disperato e poco lucido, spesso, confonde il suicidio con la svolta, con il cambiamento. Questo Paese ci ha provato più volte e forse ci vuol provare ancora. Speriamo di dissuaderlo in tempo.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org