A quasi venticinque anni dalla strage di Capaci, da quella mattanza che ha segnato per sempre la storia italiana, la verità su quanto accaduto fa ancora fatica ad emergere. Le indagini degli ultimi anni non sono riuscite a trovare i veri mandanti delle stragi del 1992 e, a livello istituzionale, è stato fatto molto poco perché uno dei periodi più oscuri della nostra storia venisse chiarito come meriterebbe. A tanti anni di distanza da quel 23 maggio in cui persero la vita Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e i tre agenti di scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro, una voce di sofferenza torna a levarsi in alto, una voce che ha il suono di quelle che hanno visto e che sanno cosa siano la paura, lo sgomento, la morte.

Giuseppe Costanza è l’autore di un libro (Stato di abbandono, edizioni Minerva) scritto in collaborazione con il giornalista Riccardo Tessarini, con il quale si vuole dare, se non una nuova versione dei fatti, almeno un punto di vista che per tanti anni è stato taciuto e messo da parte. Costanza era l’autista di fiducia del giudice Falcone, colui che lo ha portato in tutta la Sicilia per ben 8 anni e che quel giorno, per puro miracolo, è scampato a una morte certa proprio perché al volante vi era il magistrato (con accanto la moglie Francesca). Nel libro l’uomo racconta dei giorni in compagnia di Falcone prima dell’attentato e poi di quel maledetto giorno, ma ciò che più colpisce è la storia che ne segue, gli anni a venire, quelli che l’hanno consegnato all’oblio più profondo.

Dopo la strage, infatti, e successivamente alle visite fatte in diversi ospedali a causa dei traumi e delle ferite riportate, la vita dell’ex autista ha preso una piega tristissima: dalla sua funzione svolta per anni con dedizione, è stato declassato a portiere e poi a far fotocopie in uno stanzino del tribunale di Palermo perché, a detta di molti, “non c’era altro che potesse fare”. “Mi misero a fare fotocopie – ha affermato durante un’intervista – ed è stato mortificante dopo otto anni passati in prima linea sempre accanto al giudice Falcone; mi sentivo in una gabbia”.

Seppure fosse a conoscenza del fatto che non poteva più lavorare come autista, Costanza afferma che avrebbe apprezzato comunque essere assegnato a un ufficio in cui l’esperienza ottenuta potesse risultare utile. La risposta da parte delle istituzioni?  Un silenzio assoluto, silenzio che si è protratto e che non è mancato nemmeno durante le numerose ricorrenze e le “Giornate di memoria delle vittime di mafia” che ogni anno vengono realizzate e alle quali non è stato mai invitato, se non negli ultimi anni. “Sarebbe stato meglio morire quel giorno – ha continuato – almeno sarei stato ricordato come vittima, invece nessuno mi ha mai degnato di alcuna attenzione”.

Di attenzione, per fortuna, ne hanno avuta e continuano ad averne tanta gli studenti che Costanza incontra spesso durante l’anno. Da qualche tempo a questa parte, infatti, l’ex autista del giudice Falcone partecipa a numerosi incontri dove è chiamato a raccontare la propria storia, una storia fatta di sacrifici e sofferenze, ma soprattutto basata su un legame indissolubile col magistrato che lo ha accompagnato anche negli anni successivi alla morte. 

Stato di abbandono, allora, non è soltanto un libro che merita di esser letto per ricordare quanto accaduto; è il frutto di fatti ed avvenimenti che hanno segnato la nostra storia in maniera indelebile e che servono (o dovrebbero servire) per far sì che tutto ciò non accada mai più e che non ci si dimentichi mai di chi ha lottato dalla parte dello Stato.

Giovambattista Dato -ilmegafono.org