Sarei ben lieto di starmene in silenzio, tapparmi le orecchie, non occuparmi più di quello che avviene in questo Paese. Fare il mio lavoro e andare avanti finché sarà possibile, passando il tempo libero tra distrazioni “leggere” e un bel pacco di abitudini e hobbies.  E per il resto, amen. Che ci pensino il destino o qualche dio o qualche guru della comunicazione o magari un vecchio comico col piglio del condottiero all’Italia e al suo domani. Perché è troppo faticoso oggi parlare o scrivere cercando di ragionare con calma in mezzo ad un caos con cui qualcuno sta ingozzando la propria pancia di senso del potere. La strategia del “tutti fanno schifo” e delle “categorie nemiche” sta pian piano centrando l’obiettivo, perché in questa nuova situazione di democrazia partecipata (a patto che tu abbia un computer e una connessione) non c’è spazio per il confronto democratico. La nuova “costituzione” prevede solo l’insulto univoco: se osi reagire e ribattere a tono (o anche solo con qualche argomento) ti dicono che sei un complottista, un persecutore o semplicemente un nemico.

Se poi hai la sfortuna di essere giornalista sei spacciato, perché vieni subito identificato come un servo di qualche partito o del sistema in generale. Il sistema, proprio così, anche se poi quando chiedi cosa sia nessuno te lo sa spiegare in maniera convincente. E guai a dire che credi ancora all’importanza dei partiti e al fatto che non debbano sparire: rischi di farti sputare addosso (virtualmente, si intende). Ecco perché dovrei starmene zitto. Perché sono, grillescamente parlando, uno sfigato, un pessimo elemento, un nemico. Per tante ragioni. Innanzitutto, perché sono un giornalista. Quindi sarei pagato dai partiti per massacrare il Movimento 5 Stelle, anche se non l’ho mai massacrato ma ho sempre cercato di non generalizzare, di evitare etichette diffuse, concentrandomi più sul leader, che, a seguito di un’attente e libera valutazione, non mi piace, non mi convince, mi lascia perplesso. Ma non basta. Siamo tutti uguali. Ce l’abbiamo tutti con lui per difendere gli interessi di altri. Parole che ho l’impressione di aver già sentito in questi anni. Devo ricordare soltanto chi era quello pseudo-comico che le pronunciava.

Seconda ragione del mio essere un cattivo esempio: credo nella democrazia rappresentativa e nell’importanza dei partiti che ad essa si ispirano e non penso che la gestione di un Paese complesso come l’Italia possa essere affidata a un meccanismo che somiglia più al televoto di un reality show che ad una matura formazione del consenso. Inoltre, la penso come Bersani (incredibile, un evento per me raro) sul fatto che il finanziamento ai partiti debba essere controllato, ridotto, trasparente, regolato da leggi migliori e affidabili, ma non abolito del tutto, perché altrimenti la politica diventa possibile solo per le lobby che hanno disponibilità e potere economico, magari grazie ad un impero fatto di società anonime con sedi all’estero (preferibilmente in paradisi fiscali).

Terza ragione: il Parlamento vorrei che fosse il luogo eletto dove regnino onestà, impegno, confronto civile e soprattutto pluralismo. Un’istituzione che deve legiferare deve poter tener conto dei tanti punti di vista e poi giungere a una decisione a maggioranza. Quarta ragione: io non voglio che l’Italia esca dall’euro e si trovi in una condizione di assoluta fragilità, alla mercé di speculatori e con il rischio di trovarsi invischiata in una crisi tremenda. Quinta ragione: io voglio che ci sia rispetto per i migranti e che i figli che nascono in Italia da persone di origine straniera siano considerati italiani a tutti gli effetti. Mi fermo qui, inutile andare oltre. Ci sono già abbastanza motivi per essere etichettato come un nemico della rivoluzione. Dovrei tacere oppure cambiare idea e saltare sul carro a 5 stelle, come stanno vergognosamente facendo, chi più timidamente chi in maniera sfacciata, molti personaggi noti, da intellettuali a giornalisti, politici, artisti.

Ma purtroppo, anche se a coloro che appoggiano il Grillo-pensiero, può apparire incredibile, i giornalisti, gli italiani, gli esseri umani non sono tutti uguali. Sono un giornalista, sì, ma non ho mai avuto un padrone né mai abbassato la testa e rinunciato alle mie convinzioni per ottenere qualcosa, un contratto o anche solo una collaborazione prestigiosa. Credo nella democrazia che permetta a chi viene eletto di rappresentare il volere della maggioranza confrontandosi con le minoranze, perché dal rispetto delle idee di minoranza si misura la grandezza di una democrazia. Credo che il fatto che i partiti si siano semidistrutti da soli, al loro interno, non vuol dire che debbano sparire. Semmai devono cambiare e in questo ognuno di noi può fare qualcosa.

Credo nell’informazione libera, quella che molti giornalisti precari, in tutto il Paese, fanno da anni, a proprie spese, con paghe misere, con rischi elevati e subendo spesso minacce personali. Qualcuno riesce ad avere più visibilità e viene giustamente protetto, gli altri continuano a combattere la loro battaglia di verità, incontrando ogni giorno nelle strade o nelle piazze delle proprie città gli stessi autori delle intimidazioni. Credo che questo Paese stia precipitando nel caos. E le colpe sono di tutti. Il Movimento 5 Stelle è composto da tanta gente seria, competente, preparata, quindi è sbagliato criminalizzarla, deriderla per via dell’inesperienza di molti suoi aderenti. Allo stesso modo, però, non credo che siamo dinnanzi ad una rivoluzione, tutt’altro. Il rischio è quello tipico di un gruppo che condivide solo alcuni punti essenziali ma che non sono determinanti per salvare l’Italia. La nostra non è una nazione semplice, ci sono questioni sociali complesse su cui il Movimento tace, nelle enunciazioni quotidiane come nel programma elettorale. La sensazione è quella di un gioco, mediaticamente impeccabile, ma che non tiene conto della gravissima situazione in cui ci troviamo.

Non l’ha creata Grillo, ci mancherebbe, ma Grillo ha il dovere, vista la strada scelta, di provare a risolverla dialogando e non strepitando o mascherandosi. Se poi l’obiettivo fosse quello di sgretolare le istituzioni, sostituirle con un agglomerato autarchico, privo di democrazia interna e di oppositori riconosciuti e legittimati, per creare il caos, allora attenzione, perché qui si scherza con il fuoco e si mette a rischio la democrazia. Siamo nella patria di poteri forti che non pensano all’interesse del Paese ma alla salvaguardia dei propri. In una situazione di caos, di fragilità o delegittimazione delle istituzioni, la storia ci ha insegnato che derive autoritarie possono trovare spazio. La stessa idea di una sola rete tv pubblica, gli attacchi alla stampa, il puntare tutto sull’informazione via web (attenzione a chiamare informazione qualcosa che spesso si basa su supposizioni senza il riscontro delle fonti), i toni violenti contro categorie di lavoratori sono virus pericolosi che si iniettano nelle vene di una società sofferente, arrabbiata e priva di un’intellettualità forte e attiva che possa fare da riferimento.

Anche il discorso irresponsabile sulla violenza rientra in questo pericolo, perché Grillo ha probabilmente ragione sul fatto che il suo movimento abbia incanalato le spinte più radicali, ma è altrettanto vero che certe dichiarazioni rischiano di diventare un’istigazione alla violenza declinata al futuro. Ci stiamo abituando al peggio, ai toni peggiori, alle cose peggiori. Diffido sempre enormemente delle folle inferocite che urlano “a casa”, come se loro non ci fossero mai entrati in una cabina elettorale. Ne ho viste abbastanza in questo Paese. E continuo a non amare gli ignoranti che lanciano le monetine all’uscita degli hotel. Anche perché poi capita che te li ritrovi come ministri. E mostrano di essere pessimi. No. Io voglio mantenere la lucidità.

La mia indignazione la posso esprimere anche duramente, ma non cammino accanto a chi fa della volgarità o delle battute distruttive il suo tratto politico distintivo. Ecco perché mi auguro, da uomo e cittadino che si ispira alla Costituzione e all’esempio della storia, che i tanti militanti del Movimento non rispondano alle domande con gli insulti o evocando il fantasma del complotto, ma riflettano mettendoci sensibilità e coscienza e prendano le distanze, mantenendo la schiena dritta. Anche dinnanzi ai diktat isterici di Grillo e alle regole unilaterali di Casaleggio. Perché la libertà è più importante della militanza.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org