Scrivevo un paio di settimane fa che interessarsi alla situazione politica è una perversione. Perversione che continuo a concedermi, volentieri. Più di tutto è interessante il Partito Democratico. Un argomento buono per qualsiasi occasione: materiale di conversazione da bar, da editoriale, da talk show, da primo appuntamento per i più timidi. Un esempio lampante di come i capri espiatori servano sempre, soprattutto per calmare le acque quando c’è tensione. Per carità, esistessero ancora studenti rei confessi di scienze politiche, se la spasserebbero a studiare il “caso PD”: esempio didascalico di come si possa errare et perseverare. Eppure in mezzo alle accuse (legittime e condivisibili) mancano i “però”.

Alcuni lati positivi e alcuni esponenti molto intelligenti che ci rappresentano nelle stesse ali del Parlamento ci sono e qualcuno siede anche intorno all’agnello di Bettola. Sparare nel mucchio è comodo e molti osservatori preferiscono la semplicità alla complessità. La dittatura del semplicismo l’avevo chiamata. Per sottrarsene è utile riprendere le parole come sempre attente, pacate, intelligenti di Massimo Gramellini su La Stampa, che vale la pena riportare.

“Bello o brutto che fosse, ed era diventato particolarmente brutto, il Pd rappresentava l’ultimo partito. L’ultima struttura politica in grado di organizzare congressi e di eleggere un segretario, anziché un padrino o un padrone. Magari un segretario senza carisma e con uno staff mediocre. Ma pur sempre una leadership provvisoria e rovesciabile o, come va di moda dire adesso, contendibile. Pure troppo. Il Pd muore di troppe contese. Non si dissolve per mancanza di dialogo, ma per babelica sovrapposizione di voci. Alla sua caotica scomparsa fa da contraltare, in queste ore di conclave quirinalizio, la compattezza granitica dei movimenti personali. Non un grillino, un leghista o un berlusconiano hanno finora votato contro gli ordini dei rispettivi capi”. 

Indubbiamente il PD ci provava (scarsissimi risultati anche per colpa dei mentecatti della direzione) a fare il partito serio. In mezzo a loghi che sono proprietà privata di un singolo (M5S) o sotto ricatto di animali esotici (caimano/giaguaro) emerge sicuramente come il meno peggio (almeno sulla carta).Che l’interesse per il PD sia un tentativo di esorcizzare le conseguenze della sua disfatta e solleticare il proprio ego con qualche retweet? Lo stesso Gramellini nel pezzo di cui sopra ribadisce che non è un momento di giubilo registrarne la catastrofe. E non lo è neppure per un politico. In fondo se non ti chiami Matteo Renzi è più comodo e semplice ragionare con Franceschini piuttosto che con Mara Carfagna o Gasparri. O almeno è più confortante.

La maturità politica e la dialettica interna al PD generano degli ottimi politici. Uno di questi, a mio avviso, è Pippo Civati. Una delle voci fuori dal coro, di dissenso senza essere incendiario e soprattutto senza essere stato espulso. Non ho mai sentito un pidiellino eletto parlare liberamente di “ordini di scuderia” e contestare un voto. Civati lo fa, a ragione, con le sue ragioni, come dovrebbe succedere in un partito di governo per tenere alta la soglia dell’attenzione quando si gioca col fuoco. Ovviamente inascoltato, ovviamente relegato in disparte, ma Civati almeno ci prova. La compattezza senza se e senza ma non è mai indice di bontà ma di mancanza di dialettica.

D’altronde la politica è roba seria, necessita di persone altrettanto serie e di movimenti costituzionali e istituzionali. Il resto è buono per affettare mortadella in piazza e urlare dei gran vaffa. Però quant’è buona la mortadella e quanto è liberatorio un vaffa eh (lo dicono persino i link su facebook)… Avete ragione, queste righe sono aria fritta, mea culpa, ma è perversione, che ci posso fare?

Penna Bianca –ilmegafono.org