Manca solo la voce fuori campo: “Benvenuti nella nuova puntata di …”. Mentre la mafia continua a mantenere il proprio potere malgrado la crescente diffusione di una coscienza sociale “antimafia”, gli organi preposti a combatterla talvolta preferiscono perdere tempo facendosi reciprocamente la guerra. È quello che sta accadendo proprio in questi giorni, una lotta tra le procure di Palermo e Caltanissetta per aggiudicarsi la testa di Massimo Ciancimino, il figlio di Vito, l’ex sindaco-boss di Palermo. Ciancimino jr, ormai da tempo considerato super testimone nell’ambito di diversi procedimenti e delle indagini concernenti la trattativa Stato-mafia, è stato fermato, lo scorso 21 aprile, dagli agenti della Dia di Palermo mentre era in auto a Parma, in procinto di recarsi in Francia con i propri familiari per trascorrervi le vacanze pasquali.

Inizialmente l’accusa a suo carico era la calunnia aggravata nei confronti di Gianni De Gennaro: l’indagato avrebbe infatti contraffatto un documento consegnato ai magistrati lo scorso luglio, concernente la presunta trattativa tra lo Stato ed il malaffare e nel quale figurava il nome dell’ex capo della polizia che, in seguito ad accurati esami della scientifica, è risultato essere stato aggiunto in un secondo momento. Durante l’interrogatorio il testimone ha però rivelato (aggravando non poco la propria posizione) di aver seppellito nel giardino della propria abitazione palermitana una bomba ricevuta, con un pacco anonimo, la settimana precedente. La dichiarazione ha comportato la tempestiva perquisizione da parte della polizia scientifica che ha rinvenuto tredici candelotti di dinamite, ventuno detonatori ed alcuni metri di miccia, sufficienti, se innescati, a far saltare l’intero immobile.

Massimo Ciancimino dovrà dunque rispondere anche dell’accusa di detenzione illegale di esplosivi, reato per il quale rischia sino ad 8 anni di carcere. Il fermo del testimone, poi confermato dal Tribunale di Parma, è stato emesso dalla Procura di Palermo, circostanza che ha scatenato la “guerra” tra le due procure siciliane. La procura di Caltanissetta, infatti, stava già da tempo indagando lo stesso Ciancimino per il reato contestatogli, ritenendolo da sempre un teste inaffidabile (anche quando la procura palermitana invece riteneva importanti le sue dichiarazioni o parte di esse) ma non riuscendo a fornire prove della sospettata inattendibilità. Gli addetti delle due procure, anzi  tre, perché nella diatriba si è inserita puree la Procura di Firenze, che da tempo si occupa delle stragi del ’93, si sono incontrati in un vertice chiarificatore a Roma, al termine del quale ogni dissapore è stato chiarito e le rispettive competenze assegnate.

La Procura di Firenze continuerà ad occuparsi delle stragi del ’93, quella nissena si occuperà delle stragi di Capaci e di Via d’Amelio, nonché di un capitolo delle accuse per calunnie a Massimo Ciancimino, mentre i procuratori palermitani continueranno ad occuparsi del filone d’indagini inerenti la trattativa mafia- Stato. Il dovuto chiarimento, però, non è stato abbastanza tempestivo, così è intervenuto il Consiglio di Presidenza del CSM che ha investito la Prima Commissione (quella che si occupa del trasferimento d’ufficio per i magistrati in caso di incompatibilità ambientale) ed il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione “per le valutazioni di rispettiva competenza in ordine alla vicenda del fermo del signor Massimo Ciancimino”. Il conflitto per le competenze insomma non si è ancora concluso.

Anna Serrapelle- ilmegafono.org