Se iniziasse a circolare la notizia di un’eventuale possibilità di carcere per i giornalisti, qualsiasi cittadino di un paese democratico, o che si definisca tale, proverebbe un brivido di disorientamento. Qualcuno penserebbe ai regimi totalitari, qualcun altro penserebbe che sì, ci stanno togliendo veramente tutto; una percentuale ancora troppo ampia, invece, potrebbe anche pensare “era ora, troppa disinformazione”. Fatto sta che nei giorni scorsi, quella che sembra una distopia di regime a tutti gli effetti, si è palesata nella proposta del senatore di Fratelli d’Italia, Gianni Berrino.

La scorsa settimana, infatti, Berrino aveva firmato gli emendamenti del ddl che punta alla riforma della stampa, emendamenti che avrebbero reintrodotto il carcere fino a quattro anni ai giornalisti condannati per diffamazione. La proposta ha chiaramente (e giustamente) spaccato la maggioranza stessa, costringendo Berrino a ritirare tutto e a fare un passo indietro. Il senatore, molto vicino al sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro, sul quale si sono sprecati fiumi d’inchiostro e pagine di cronaca, non solo politica, nonostante tutto, rivendica quanto proposto, è molto probabile infatti l’ipotesi di una manovra dello stesso Delmastro nella decisione di compiere un passo indietro.

Secondo Berrino, gli emendamenti da lui proposti erano “in linea con la sentenza della Consulta per le ipotesi più gravi di diffamazione”, “per garantire la piena tutela delle persone offese da meccanismi di ‘macchina del fango‘”, ma “la necessità di procedere con celerità all’approvazione del ddl sulla diffamazione, mi ha convinto a ritirare gli emendamenti che,  in ogni caso, alleggerivano sensibilmente le pene attualmente”.

Le reazioni non si sono fatte attendere. La segretaria generale della Fnsi, Alessandra Costante ha dichiarato: “Gli emendamenti presentati in commissione Giustizia dal senatore di FdI Gianni Berrino al ddl Diffamazione dimostrano che qualcuno non ha capito molto delle sentenze della Corte costituzionale in materia. Il carcere per i giornalisti è un provvedimento incivile e denota la paura di questo governo nei confronti della libertà di stampa. Questa è l’orbanizzazione del Paese”. Un concetto chiave, quello che richiama al premier ungherese Orbàn, che restituisce in toto la dimensione nella quale gli emendamenti di Berrino si muovevano: totale controllo della libertà d’espressione, o comunque un tentativo di renderlo tale. Una mossa inaccettabile persino per il più conservatore dei governi che la storia repubblicana abbia conosciuto negli ultimi anni.

Tra le prime a rilasciare dichiarazioni dopo il ritiro della proposta, la leghista Giulia Bongiorno, presidente della Commissione Giustizia in Senato ha assicurato: “Nei prossimi giorni ci saranno ulteriori approfondimenti degli emendamenti che sono stati presentati, c’è una grande coesione nella maggioranza, non ci sono attriti e non ci sono divisioni, c’era stata soltanto la presentazione di questi emendamenti che aveva suscitato un dibattito, ma che è stato assolutamente superato”. Insomma, una lieve tirata d’orecchi a Berrino e si va avanti, facendo finta di niente. Facendo finta che già il solo fatto che un senatore della Repubblica avanzi una proposta di tale gravità per la stampa e la democrazia, non sia una crepa ben visibile nelle reali intenzioni di una frangia del Parlamento troppo sbilanciata a Est, dove il vento è diventato nero da qualche tempo.

In questa legislatura col freno tirato sui diritti e con la frizione sulla retromarcia, qualcuno prova a mettere in discussione anche il ruolo della stampa. E c’è chi dice che il pericolo fascista sia solo un’invenzione delle opposizioni. Fortunatamente possiamo ancora essere qui a rendercene conto, provando a scongiurarlo. Non possiamo però darlo per scontato. Di Berrino ce ne sono fin troppi in giro.

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