Roberto Benigni è un genio assoluto. Genio nel suo essere spontaneamente spettacolo, intrattenimento e cultura. Genio nel suo essere simbolo di italianità e giullare del sapere. Benigni ha la capacità dei grandissimi di divulgare concetti profondi umanizzandoli, rendendoli quotidiani e spendibili. Il suo film “La vita è bella” è un capolavoro anche per l’idea geniale di ridicolizzare il male, rifiutandone la crudezza ma mettendoci in guardia dai suoi pericoli. Quando parla o recita, il suo entusiasmo è esaltazione del semplice e rende lo spettatore tremendamente soddisfatto anche soltanto di respirare. La soddisfazione immensa, semplicemente, di essere uomini.

Lo spettacolo di questa settimana sui Dieci Comandamenti è, come il suo Dante, prima di tutto, alla portata di qualsiasi pubblico e di qualsiasi ascoltatore. La definizione stessa di “nazional popolare”, con tutti i rischi e i difetti che si possono trovare e le “forzature” forse necessarie all’obiettivo. Sicuramente, come ritiene il Sermonti, il suo Dante è un tantino banalizzato e certe sue interpretazioni sono un po’ troppo allegre. A lui, comunque, il merito di aver tirato fuori dalla polvere la Commedia e la Bibbia: esserci riuscito varrebbe davvero qualsiasi ricompensa.

Ma l’allegria e la cultura di Benigni fanno paura. Speventano terribilmente i registi del terrore, i cacciatori di voti a colpi di menzogne, ignoranza e paura. Come potevano quindi mancare i soliti, beceri, bassi discorsi sul compenso? Una polemica ridicola e bottegaia. L’interesse per lo stipendio di una persona (senza considerare i benefici che apporta all’azienda) è quanto di più basso possa esserci. Il pensiero strisciante del “meritarsi lo stipendio” è una guerra che coinvolge poveri contro poveri. Chi lo diffonde non fa che perpetrare l’idea di quelli che avrebbero chiamato i “padroni” per cui bisogna pagare “poco”.

Perché se non guadagni sei un eroe, uno “della strada”, meriti rispetto a prescindere, indipendentemente dalla tua vita reale (e da quanto guadagni davvero), ma se guadagni più di me di certo non te lo meriti. Non te lo meriti soprattutto se fai spettacolo. Dietro tutte queste idiozie si nasconde la nostra incapacità di valorizzare la cultura a qualsiasi livello, dal teatro al cinema. Siamo ormai diventati come il cinghiale pieno di raziocinio di De Andrè, degli ungulati che sanno solo grugnire guardandosi reciprocamente nella vasca del castro.

A lasciare vivo il briciolo di speranza che ci ha dato quello spettacolo magistrale è il dato degli ascolti: quasi dieci milioni di telespettatori. Roba da finale dei mondiali e, purtroppo, da finale di Sanremo. Eppur qualcosa si muove. E allora ai maestri del terrore e dell’ignoranza dedichiamo, con un pizzico di snobismo, una frase celebre di Guccini: “Le verità cercate per terra, da maiali, tenetevi le ghiande, lasciatemi le ali”.

Penna Bianca -ilmegafono.org