Sui libri di geografia delle scuole medie si legge spesso che il Tavoliere delle Puglie è tra le pianure più fertili d’Italia. «Negli atti ufficiosi, anche a rilevanza pubblica ed esterna, [essa] può assumere la denominazione di Provincia di Capitanata nel rispetto della propria identità storica territoriale». Recita così il punto 2 del secondo articolo dello Statuto della seconda provincia d’Italia in termini di estensione territoriale. Stiamo parlando della provincia di Foggia che, con 61 comuni nel nord della Puglia, è la casa di una nuova realtà criminale, o meglio, di un nuovo sistema di associazioni mafiose.

Era il 5 gennaio del 1979, quando all’Hotel Florio, tra Foggia e San Severo, Raffaele Cutolo battezzò la Nuova Camorra Organizzata Pugliese, NCOP, nota come Camorra pugliese. San Severo era per il “Professore” una vera e propria residenza secondaria. Sotto l’influenza dei gruppi campani si delinearono attività criminali sempre più organizzate, tanto da staccarsi a un certo punto dai loro padri fondatori così come dallo stesso Cutolo.

Nasce cosi la Società Foggiana, indipendente da un punto di vista istituzionale ma sempre in ottimi rapporti con la malavita campana e non solo. Non a caso la cultura urbana della provincia di Foggia si sente più influenzata da Napoli che da Bari. Cartelli come “Succursale di Napoli” e “Nuova società foggiana” lasciano intendere che la realtà nelle terre del Tavoliere delle Puglie sia totalmente indipendente. I gruppi in questione non appartengono alla famosa “Sacra Corona Unita”. Per il questore di Foggia, Piernicola Silvis, sono anche peggiori. Lo stesso Silvis lancia l’allarme durante un audizione dinanzi alla Commissione parlamentare antimafia, presieduta da Rosy Bindi.

L’episodio che dà risalto alla realtà pugliese è dello scorso 25 giugno, quando un commando armato composto da 19 automezzi, guidato da uomini in passamontagna con giubbotti antiproiettile e ricetrasmittenti, blocca strade e un intero quartiere per assaltare il caveau di un’azienda di portavalori. Obiettivo: 23 milioni di euro. 

“Presidente”, dice il questore di Foggia Piernicola Silvis a Rosy Bindi, “nessuno ha parlato di questa vicenda. Nessuno lo sa. Neanche al cinema si vede una scena di questo genere. S’è trattato di un vero e proprio atto di guerra: un atto militare. Se un’autobomba esplode, qui non lo viene a sapere nessuno, presidente, ma queste cose devono essere dette, perché non possiamo aspettare il morto eccellente, che ammazzino un procuratore della Repubblica, uno dei nostri o un bambino, o che facciano una strage in cui muoia qualche innocente per ricordarci che a Foggia c’è l’associazione criminale di stampo mafioso. Questa città – continua il questore dinanzi alla Bindi – oggi è economicamente in ginocchio, strozzata dalle estorsioni e dal manto di silenzio che si coglie ovunque. È necessario inceppare con urgenza l’escalation dell’organizzazione, prima che sia tardi e che il livello delle sue azioni omicide s’innalzi a sfida aperta alle istituzioni dello Stato e agli uomini che le rappresentano”.

A quanto pare era un commando di Cerignola che aveva ottenuto la concessione, sotto pagamento, dalla Società Foggiana per compiere la rapina, o meglio, l’atto di guerriglia.

Quattro sono le mafie operanti attualmente nella provincia, secondo l’ex procuratore di Lucera, Domenico Secci: la garganica, montanara, per certi versi figlia di una cultura simile a quella sarda, tra turismo e montagna; la foggiana, quella più potente ed organizzata; seguono il gruppo di San Severo e quello di Lucera.

Le attività principali sono le solite: spaccio, prostituzione, racket e altri classici italiani. Quel che realmente differenzia questa mafia dalle altre risiede nella sua storia e nella sua operatività. Per esempio, non si registrano attualmente collaboratori di giustizia. I gruppi della provincia sono ben ammanicati con le più grandi mafie italiane, come camorra e ‘ndrangheta. Le associazioni di cittadini sul territorio sono poche e quelle antiracket, per esempio, non esistono proprio. La zona è piccola e si lavora non solo chiedendo il pizzo (lo pagano in 8 su 10) ma anche obbligando l’imprenditore a vendere l’attività acquisita e lavorarci dentro come dipendente, dandola direttamente in gestione alla famiglia affiliata. Le minacce avvengono per strada, in centro, e si uccide, tanto.

La politica degli appalti pubblici è monopolizzata. Inoltre, nelle campagne del foggiano, tra le masserie, vengono allestiti veri e propri ranch alla “Django”, con tanto di immigrati schiavizzati per la raccolta di prodotti agroalimentari. Una vera e propria start-up mafiosa in espansione nelle Marche, in Emilia Romagna e nell’est Europa. Poco intralciata, perché l’antimafia ancora non vi è arrivata. Foggia è terra franca, piena di terreni da riempire di rifiuti, con pochi uomini di giusta legge. A Foggia il boss non è famoso e romantico e i nomi delle famiglie mafiose non si pronunciano nemmeno all’interno delle case delle famiglie stesse. A Foggia non ci sono inchini di madonne o spettacolarità simili. Alcune tesi dicono che il nome della città di Foggia derivi dal latino fovea, ovvero fossa. Affossata dall’indifferenza, a Foggia non resta che appellarsi con fiducia alle istituzioni che hanno l’obbligo di intervenire prima che sia troppo tardi.

Italo Angelo Petrone -ilmegafono.org